Sabino Pignataro

sabato 20 giugno 2009

L'elettricità arriverà in Europa direttamente dal sole africano.

Un consorzio di 20 grandi gruppi tedeschi prevede di investire 400 miliardi di euro per catturare i raggi solari nelle aree desertiche del Nord Africa e trasformarli in energia elettrica da inviare alle reti dei paesi europei. Si tratta di Desertec, un progetto che per ora è solo sulla carta - scrive il quotidiano Sueddeutsche Zeitung - ma che promette di diventare il più grande del suo genere a livello mondiale. L'obiettivo è di soddisfare circa il 15% del fabbisogno di energia elettrica in Europa entro 10 anni.
Partecipano al consorzio, guidato dal colosso delle assicurazioni Munich Re, gruppi come la Siemens, la Rwe e la Deutsche Bank, ma al tavolo della prima riunione - fissata per il 13 luglio prossimo - siederanno anche rappresentanti del ministero dell'Economia tedesco e dell'organizzazione non governativa Club di Roma. "Vogliamo fondare una società con l'obiettivo di presentare piani di attuazione concreti entro due, tre anni", ha detto al giornale Torsten Jeworrek, membro del consiglio di amministrazione della Munich Re. Anche partner europei e nordafricani potrebbero presto prendere parte a Desertec.
"Su Italia e Spagna siamo ottimisti e dal Nord Africa riceviamo segnali positivi", ha spiegato Jeworrek, il quale si è invece dimostrato scettico sull'adesione dei francesi, "che puntano ancora molto sul nucleare", ha detto. Il progetto si basa sulla generazione di energia termica solare con un contenuto tecnologico relativamente basso, poiché utilizzerà una sistema di specchi per riscaldare l'acqua piuttosto che una serie di sofisticate cellule fotovoltaiche. Per trasportare questa energia, è prevista la realizzazione di una nuova rete di trasmissione ad alta tensione dal deserto del Magreb fino all'Europa. (Ansa)

Le rotte e i punti chiave del Mediterraneo.

(carta di Laura Canali tratta dalla rivista di geopolitica Limes)

Le rotte delle grandi compagnie navali ed i porti principali. Gli hubs di oggi e quelli in progetto. I passaggi strategici del Mediterraneo. . Questa cartina ci dice l'importanza strategica del Mediterraneo e la miopia delle politiche europee che invece vanno in altra direzione. Inoltre, dalla cartina si rileva l'ìmportanza dei nostri porti di Taranto e Gioia Tauro e del futuro delle regioni dell'Italia meridionale. Sconfortante la mancanza di dibattiti ed interesse su questo argomento nell'ultima campagna elettorale per le europee, eccezione fatta per il radicale Aldo Loris Rossi del quale questo blog ha esposto la sua proposta.

Il Mediterraneo: ponte tra Est ed Ovest.

Articolo di Lucio Caracciolo pubblicato su La Repubblica l'8/06/09.
Il nostro futuro è euromediterraneo o non è. L’idea di opporre Europa e Mediterraneo in quanto spazi incompatibili, frontiere dello “scontro di civiltà”, ci porterebbe tutti al suicidio, europei e mediterranei. A cominciare da noi italiani, euromediterranei per storia e geografia ma non più, oggi, per economia e geopolitica. Anzi, le prime generazioni di europeisti italiani facevano della necessità di “aggrapparsi alle Alpi per non finire in Africa” l’alfa e l’omega della loro visione. L’ordine del giorno è ormai rovesciato: dobbiamo recuperare la dimensione mediterranea dei nostri scambi e della nostra proiezione geopolitica se non vogliamo accelerare il declino dello Stivale. Perché il Mediterraneo è la nostra Cina, più vicina e più abbordabile per le nostre imprese di taglia medio-piccola.Un terzo del commercio mondiale transita fra Suez e Gibilterra, ma l’Italia stenta a intercettarlo. Perché non dispone delle infrastrutture portuali e di trasporto terrestre su cui invece poggiano non solo i grandi hub del Nord Europa, a cominciare da Rotterdam, ma ormai anche i nuovi grandi porti della costa Sud, come il gigantesco scalo di Tangeri, che fra qualche anno dovrebbe raggiungere i rivali del Northern Range. Su quali basi si fonda l’ascesa del Mediterraneo? Essenzialmente sulla crescita della produzione asiatica e sul conseguente flusso di merci che attraversano il “nostro mare” per raggiungere i consumatori europei e occidentali. La crisi ha provocato un drastico calo del traffico, ma non è difficile immaginare che prima o poi tornerà a crescere, e di molto. Su questo scommettono gli investitori che negli ultimi anni hanno concentrato centinaia di miliardi di dollari sullo sviluppo dell’area mediterranea, in particolare dei paesi Meda (Algeria, Egitto, Israele, Giordania, Libano, Marocco, “Palestina”, Siria, Tunisia e Turchia, più Libia come osservatore). Un mercato da 280 milioni di abitanti, in forte sviluppo demografico ed economico, che se agganciato allo spazio europeo potrebbe aggregare un terzo del pil mondiale entro la metà del secolo (oggi l’Ue da sola è al 23%, ma secondo alcune proiezioni potrebbe scadere al 15% se non agganciasse la sponda Sud).Chi sta scommettendo sul Sud Mediterraneo? Se il 40% degli investimenti esteri nella regione restano europei, ormai il 30% proviene dal Golfo, mentre Brasile, India, Cina e altre economie ruggenti sono al 20% e gli Stati Uniti al 10% (rispetto al 25% di dieci anni fa). Già oggi, quindi, noi europei (e in specie noi italiani), stiamo perdendo quota nella competizione mediterranea.Per quanto riguarda il nostro paese, oltre alle evidenti carenze strutturali, pesano i fattori culturali. A cominciare dalla perdita della memoria storica di quello che il Mediterraneo ha rappresentato per noi. Non ci riferiamo al nostrum mare evocato per primo da Giulio Cesare, ma al ben più recente insediamento italiano nei principali paesi della sponda Sud, dalla Tunisia all’Egitto, dalla Turchia al Marocco. Ancora un secolo fa erano un milione circa i nostri connazionali in quest’area, profondamente incardinati nelle terre nordafricane e vicino-orientali e nei loro snodi commerciali, talvolta in posizioni di rilievo pubblico. Con le sciagurate imprese coloniali, dalla guerra di Libia in poi, ci siamo rapidamente trasformati in potenza coloniale tra le altre, solo più stracciona. E dopo la perdita dei territori d’Oltremare, conseguente al disastro della seconda guerra mondiale, la memoria dei nostri “levantini” si è definitivamente dispersa, così come la matrice della loro influenza.La ripresa di contatto con quel mondo passa oggi per la riscoperta del passato comune, senza oscurarne le tragedie ma ricordando la fondamentale sintonia fra gli interessi di noi mediterranei. Non sarà facile, visto che anche in Italia, come nel cuore dell’Europa che conta, il termine “mediterraneo” è scaduto a parolaccia, o quasi. Tanto che quando si riaffaccia il progetto di Euronucleo - di un’Europa carolingia centrata su Francia, Germania e dintorni - noi stessi veniamo spesso relegati nel cosiddetto “Club Med”, definizione non elogiativa. Per fortuna loro, arabi, cinesi, indiani e brasiliani non partecipano di queste fobie e tentano di usare il Mediterraneo per quel che è: un’opportunità per crescere..

domenica 14 giugno 2009

Il modo giusto per uscire dalla crisi.

Siamo sicuri che la Obamaeconomics sia il solo modo per uscire dalla crisi? Ad un anno dalla conferenza di Parigi sulla decrescita, Mauro Bonaiuti, Joan Martinez Alier (ex presidente dell'International Society of Ecological Economics) e Francois Schneider hanno lanciato un appello – rivolto innanzitutto ai responsabili di governo, ma anche a coloro che sono impegnati nelle istituzioni per la tutela ambientale e sociale e nelle ong - sottolineando che potrebbe esserci un'altra via.
Gli economisti del Fondo Monetario Internazionale e gli esperti delle più prestigiose istituzioni internazionali non sono stati capaci di prevedere la crisi economica che stiamo attraversando. Tuttavia, oggi, gli stessi esperti, pur con accenti diversi, non hanno dubbi sulla ricetta per uscire dalla crisi: ritornare alla crescita economica. La crisi economica è stata causata dagli eccessi nella creazione del debito, cioè si è prodotto esageratamente. Tuttavia, in risposta alla crisi, i leaders delle economie globali hanno creato il più grande debito che la storia economica ricordi. Ma come ha spiegato Frederick Soddy già negli anni Venti, il debito è una “richiesta di ricchezza reale” in altre parole la creazione di debito spinge la società verso una maggiore produzione di beni e servizi per ripagare quel debito. Tuttavia, come ha mostrato Georgescu-Roegen, tale produzione di ricchezza è limitata dall'ammontare di bassa entropia disponibile, in altre parole, dai limiti biofisici del pianeta.
Questa crisi, dunque, non è solo finanziaria ma è anche ambientale. Tuttavia le politiche contro la crisi prevedono investimenti per aumentare la capacità produttiva, attraverso sussidi per produrre automobili, bulldozer, TIR, aerei, che dovrebbero contribuire a rendere più “verdi” queste industrie. Ma “bulldozer verdi” continueranno ad estrarre risorse naturali, le automobili “verdi” continueranno ad incrementare il traffico e l'inquinamento, i “TIR verdi” continueranno a trasportare merci in tutta Europa.
La crisi che stiamo attraversando è anche una crisi sociale. Novanta milioni di persone sono scivolate sotto la soglia dei due dollari al giorno (nel 2008) secondo le stime della Banca Mondiale. Milioni sono i posti di lavoro perduti in Europa, in particolare tra i lavoratori precari. Ma la risposta alla crisi invoca ancora maggiore produttività del lavoro per una competizione ancora più selvaggia. Tuttavia maggiore produttività non significa forse un numero minore di lavoratori per produrre lo stesso ammontare di beni e servizi? La crisi è anche una crisi sociale legata alla concentrazione di ricchezza nella parte sviluppata del mondo. E come via di uscita dalla crisi i governi incentivano la crescita economica e sostengono i grandi colossi industriali e finanziari nella parte più ricca del mondo. D'altra parte, grazie alla riduzione nella produzione e nei consumi, in particolare di petrolio, abbiamo registrato in questi mesi un incremento significativo nella diffusione delle fonti rinnovabili e del risparmio energetico, oltre che, in molti paesi, una riduzione nelle emissioni di CO2. Questo è avvenuto dopo anni venti anni di insuccessi delle politiche ambientali improntate alla crescita e allo sviluppo sostenibile che hanno significato, come noto, un incremento nel consumo totale di materia energia e delle relative emissioni. I più accreditati analisti prevedono il raggiungimento a breve del picco nella produzione di un numero significativo materie prime fondamentali, incluso il petrolio. Tuttavia , come via di uscita dalla crisi, i governi stanno promuovendo incrementi nella produzione e nel consumo. L'interrogativo rimane: che cosa accadrà quando la domanda di questi beni riprenderà a salire? Siamo veramente sicuri che questa sia la via giusta per uscire dalla crisi? Politiche di matrice neokeynesiana - tese a sostenere la domanda aggregata e i consumi - possono essere utili nella fase acuta della crisi, al fine di ricondurre il sistema verso una relativa stabilità, tuttavia - nel tempo lungo - rafforzano le condizioni che hanno portato alla crisi attuale. Esiste un'altra via:
- Sostenere, praticare ed istituzionalizzare la condivisione del lavoro (Job Sharing) favorendo di conseguenza una riduzione dell'orario di lavoro.
- Muovere verso una riforma delle Istituzioni internazionali, nazionali e locali, favorendo relazioni impronte alla cooperazione.
- Sostenere il lavoro domestico, volontario, e la creazioni di reti di economia sociale e solidale.
- Prevenire la paura della riconversione supportando la ricerca e l'innovazione alla frugalità e alla riconversione energetica e tecnologica.
- Sostenere la riduzione nell'uso di risorse, la condivisione di beni e servizi, il riutilizzo e più in generale modelli culturali e stili di vita orientati alla sobrietà e alla gioia di vivere.
- Ridurre le ineguaglianze attraverso la redistribuzione della ricchezza e delle conoscenze nei paesi del Nord, del Sud, e tra Nord e Sud.
- Rilocalizzare l'economia, riducendo la polarizzazione tra centro e periferia, tra città e campagna, e valorizzando risorse e conoscenze locali.
- Incoraggiare la ricerca transdisciplinare e le pratiche sperimentali per la transizione verso una società ecologicamente e socialmente sostenibile.

domenica 7 giugno 2009

Riflessioni prima dei risultati.

Questa è una tornata elettorale in cui la destra ha un vantaggio netto rispetto alla sinistra. Non solo lo schieramento di Berlusconi ha il vento in poppa anche se forse in queste ultime settimane si è un po’ afflosciato. È anche il punto di partenza che rende le cose difficili per la sinistra.Nel 2004 infatti le andò tutto bene. Alle europee la lista Uniti nell’Ulivo ottenne il 31,1% mentre tutta la sinistra arrivò al 46,2%. Alle comunali riuscì a conquistare 24 comuni capoluogo su 30, tra cui città importanti come Bergamo, Pavia, Padova, Bari. Alle provinciali vinse in 51 delle 60 province che allora andarono al voto (questa volta sono 62), tra cui Torino, Milano, Belluno, Cremona, Lecco, Bari. Un risultato impossibile da replicare oggi nelle condizioni in cui si trova il partito di Franceschini.
Sulla base delle simulazioni fatte utilizzando i dati delle politiche 2008 e delle alleanze 2009 è possibile che possa finire 15 a 15 nei comuni capoluogo e 25 a 37 nelle province. Come dire che, nel totale delle amministrazioni principali, si passerebbe da un 75 a 15 per il centro-sinistra a un 52 a 40 per il centro-destra. Ovviamente, esclusivamente sulla base dei dati elettorali del 2008. È praticamente certo che la sinistra manterrà quasi tutte le sue posizioni nei comuni e nelle province di Emilia, Toscana, Umbria e Marche. Ma non sarà così altrove. Nei comuni del Nord non finirà 6 a 2 come nel 2004 e nelle province non finirà 13 a 7. Al Sud il risultato fu di 6 a 3 nei comuni e 17 a 2 nelle province. Anche qui le tabelle sotto evidenziano un cambiamento significativo. Eppure anche se i numeri non saranno certamente quelli del 2004 la sinistra limiterà i danni e la delusione se riuscirà a mantenere alcune posizioni chiave, soprattutto al Nord. Oltre alla percentuale di voti che Pd e Pdl otterranno alle europee saranno i risultati di Bergamo, Padova, Milano, Bari a condizionare il giudizio complessivo su queste elezioni. Ma questo non è l’unico elemento di interesse di questa tornata elettorale.
In primo luogo si evidenzia la tenace persistenza della frammentazione partitica. Grazie alla soglia del 4% alle europee e all’esito delle ultime politiche questa antica patologia del nostro sistema politico – almeno per ora – è stata bloccata a livello nazionale. Non così invece a livello locale. Nei 30 comuni capoluogo si sono presentate in media 17 liste. A Bari sono addirittura 30. Nelle province il numero medio è 18,3. A Torino ce ne sono 34, a Cosenza arrivano a 38. C’è qualcosa che non va nella legge elettorale. È vero che sindaci e presidenti di provincia sono eletti direttamente. È vero che la loro stabilità è assicurata dalla regola per cui un eventuale voto di sfiducia da parte dei consigli porta automaticamente ad elezioni anticipate. È vero che non tutte queste liste otterranno seggi. Ma è anche vero che saranno comunque tante, troppe, a essere rappresentate nei consigli in assenza di soglie di sbarramento efficaci. E allora con questi livelli di frammentazione la stabilità degli esecutivi rischia di essere pagata a caro prezzo. Come si fa a governare efficacemente con coalizioni rissose formate da un numero così elevato di partiti?
A livello nazionale le ultime elezioni hanno portato alla formazione di due mini-coalizioni. Il governo Berlusconi è formato da due partiti (tre se si conta il Mpa). A livello locale invece continua la pratica delle maxi-coalizioni sia a destra che a sinistra. In media le coalizioni comunali di sinistra sono formate da 6,1 liste, quelle di destra da 5,3. Ma le differenze locali sono notevoli. La media nasconde situazioni assurde. A Bari sono addirittura 15 le liste che appoggiano il candidato-sindaco della destra. A livello provinciale è la stessa cosa. Le coalizioni di sinistra hanno in media 5,8 liste e quelle di destra 5,9. Ma a Salerno le liste della destra sono 17 e a Rieti 16. A Cosenza ciascuno dei due candidati principali è sostenuto da 15 liste.Il quadro complessivo delle liste permette considerazioni interessanti anche sulle alleanze. Rifondazione comunista – quella di Ferrero, non quella di Vendola – è alleata al Pd in 13 comuni su 30. L’Udc è alleata al Pdl in 10 comuni e non è mai alleata al Pd. Negli altri comuni corre da sola in attesa di decidere cosa fare eventualmente al secondo turno. Questi sono i due casi più interessanti per le loro implicazioni nazionali. Poi ci sono gli altri casi.
La Destra di Storace che è insieme al Pdl in 4 comuni. Di Pietro che corre da solo in 5 casi. La Lega che a Pesaro e Reggio Emilia ha una lista propria. Poi ci sono liste come il Nuovo Psi, che avrebbero dovuto confluire dentro il Pdl ma sono ancora vive e vegete in certe realtà locali.Ma la cosa che colpisce di più è la proliferazione di liste civiche di ogni colore. Sono sigle che servono a diversi scopi: costituirsi una rendita di posizione, fare incursioni nell’elettorato altrui, dimostrate la forza dei candidati rispetto a quella del partito. Ma il loro effetto sistemico è quello di indebolire i grandi partiti di cui invece c’è bisogno sia a livello nazionale che a livello locale per avere una vera democrazia governante.
Questo quadro è lo specchio di un paese in cui la rappresentanza politica è ancora in cerca di una ricomposizione stabile. Il sistema politico italiano non ha ancora trovato un suo punto di equilibrio. Non dipende solo dalle regole, ma senza regole tutto diventa più difficile. Perciò a livello locale, ma non solo, è necessario intervenire per correggere la legge elettorale. Ci vuole una soglia vera e ci vuole una norma che impedisca a liste-civetta di portare acqua ai candidati-sindaco e ai candidati-presidente. Le prossime elezioni forniranno una ragione in più.

venerdì 5 giugno 2009

La proposta di Aldo Loris Rossi

Aldo Loris Rossi è candidato alle elezioni europee per il Meridione nella lista Pannella-Bonino dei Radicali.
UN DECALOGO PER UNA PROSPETTIVA EURO-MEDITERRANEA
Questo decalogo tende ad individuare una “prospettiva euro-mediterranea” che promuova il ruolo geo-economico-politico dell’Italia come cerniera tra la megalopoli europea e quella mediterranea; e del Mezzogiorno, baricentro del Mediterraneo e “zona di libero scambio” (Conferenza di Barcellona, 1995), come Piattaforma Logistica Intermodale proiettata sul mare.
Questa prospettiva di medio e lungo termine scaturisce dall’esame dei problemi tutt’ora aperti esemplificati nei seguenti temi.
1. L’era post-industriale e gli squilibri euro-mediterranei.
2. L’esplosione demografica e la globalizzazione di infrastrutture, mercati e sistemi urbani.
3. La crisi ambientale incombente: l’insostenibilità del modello tardo-industriale e del “mito dello sviluppo illimitato”.
4. La dinamica demografica europea e mediterranea.
5. La rifondazione post-industriale della megalopoli europea, la diffusione del nuovo modello di sviluppo e la “green economy”.
6. Le due Italie e la “faglia tra le diverse civiltà” mediterranee.
7. Le previsioni ISTAT al 2051 del declino demografico del Mezzogiorno.
8. La pervasività del grande sistema intermodale dei trasporti euro- mediterraneo e delle reti telematiche.
9. L’Italia come cerniera tra la megalopoli europea e quella mediterranea.
10. Il Mezzogiorno baricentro del Mediterraneo quale “zona di libero scambio” e Piattaforma Logistica Intermodale proiettata sul mare.
Nel 1995 la conferenza euro-mediterranea di Barcellona ha indicato la possibilità di creare entro il 2010 una “zona di libero scambio”. Come è noto, questa prospettiva di cooperazione ha dato risultati più soddisfacenti sul piano culturale che su quello economico. Ma certamente una tale prospettiva è da considerare strategica per realizzare un dialogo continuo quanto indispensabile tra le civiltà che si affacciano sul Mediterraneo. Intanto se l’Italia svolgerà sempre più una funzione di cerniera tra la megalopoli europea e la megalopoli mediterranea, quale può essere il ruolo del Mezzogiorno in tale contesto?
In realtà questo ruolo emergerà sempre più chiaramente nella misura in cui si realizzerà la suddetta “zona di libero scambio” soprattutto attraverso la creazione di un sistema intermodale dei trasporti a scala euro mediterranea, che può divenire la forza motrice dello sviluppo del Mezzogiorno.
Infatti, mentre le altre politiche europee sono meno centralizzate, il sistema intermodale dei trasporti transnazionali, in quanto scheletro portante dell’armatura urbana della nuova Europa, deve obbedire ad una strategia unitaria e sovraordinata dello sviluppo, definita soprattutto in sede UE. D’altra parte, per misurare la potenza auto-propulsiva delle infrastrutture hard e delle
reti soft nel rivitalizzare anche aree difficili, basti considerare che esse si sviluppano in modo esponenziale perché l’era post-industriale spinge incessantemente: da un lato, verso specializzazioni sempre più diversificate; dall’altro, verso una reintegrazione interdisciplinare sempre più inclusiva. Questo doppio movimento determina una moltiplicazione continua delle reti per lo scambio e la distribuzione dei flussi di informazioni, merci e persone, garantendo una
connessione sempre più estesa e articolata della città planetaria. Questo processo di globalizzazione è irreversibile e tende a creare un cyberspace aperto, sempre più dinamico, complesso, interattivo. Pertanto la sua pervasività travolgente può essere la forza trainante del suddetto processo di rigenerazione e riequilibrio economico-territoriale dell’armatura urbana
nazionale, il quale non può che coinvolgere anche le aree difficili del Mezzogiorno.
Ma come si configurerà un tale sistema intermodale dei trasporti a scala euromediterranea?
E tale realizzazione sarà capace di vertebrare e rigenerare l’armatura urbana del Mezzogiorno rimettendo in moto l’economia delle città? In generale questo sistema intermodale tende a integrare i quattro Corridoi Trans-Europei che attraversano l’Italia, le “autostrade del mare” e le rotte trans-oceaniche che solcano il Mediterraneo facendo scalo nei grandi porti della riva sud (Tangeri, Orano, Algeri, Tunisi, Sfax, Alessandria, Damietta, Porto Said), quelli della riva
orientale (Haifa, Beirut, Latakia, Smirne) e della riva nord (Pireo, Trieste, Venezia, Gioia Tauro, Napoli, Genova, Marsiglia-Fos).
Tale sistema intermodale sarà incardinato sul Corridoio Trans-Europeo I, Berlino-Monaco-Verona-Napoli-Palermo, che svolgerà il ruolo di spina dorsale del sistema.
Infatti collegherà la megalopoli europea a quella mediterranea:
- anzitutto, potenziando la connessione della Sicilia col continente;
- poi, disimpegnando adeguatamente il grande porto di Gioia Tauro specializzato nel transhipment dei container che “ha avuto in breve tempo un formidabile decollo raggiungendo la quota di 3 milioni di container/annuo” classificato “di rilevanza internazionale” (Legge 30/98); - inoltre, incrociando i due Corridoi est-ovest, VIII, Napoli-Bari-Sofia-Varna sul Mar Nero, aperto ai mercati di Balcani, Grecia, Ucraina, e V Lisbona-Madrid- Milano-Kiev che collega la costa atlantica alla Russia;
- infine, il Corridoio ferroviario, in corso di attuazione, Parigi-Varsavia-Mosca-Pechino percorso dal Trans-Eurasia Express che collegherà il Canale della Manica al Mar Giallo cinese.
Dunque, il Corridoio I formerà la spina dorsale di un grande sistema intermodale euro-mediterraneo che investirà l’intero Mezzogiorno. Infatti, attraverserà Campania, Calabria e Sicilia, mentre due sue derivazioni: il Corridoio VIII, disimpegnerà la Puglia; e un’altra diramazione autostradale per Potenza - prolungata fino alla costa ionica, una straordinaria riserva paesaggistica e archeologica da valorizzare anche ai fini del turismo balneare - attraverserà l’intera Basilicata.
In particolare, il tratto laziale-campano del Corridoio I potrà svolgere la funzione di “asse di riequilibrio economico-territoriale” (F. Compagna, ’67) tra le due più grandi metropoli del centro-sud, Roma e Napoli, reintegrate in un super-organismo ecometropolitano pari, per peso demografico, alla “Grande Parigi” (11 milioni di abitanti), ma senza la congestione di quest’ultima.
Tale sistema bipolare comprende: - i terreni agricoli più fertili delle due regioni (agro romano, piane di Fondi e Garigliano, Terra di Lavoro, agro nocerino-sarnese, piana del Sele);
- le aree industriali più vitali;
- i “superluoghi” della grande distribuzione, dei macroservizi e della logistica;
- le attrezzature di livello superiore (Università, centri di ricerca, servizi di eccellenza).

Insomma questo asse di riequilibrio economico-territoriale potenzierà la sinergia tra attività primarie, secondarie, terziarie e quaternarie, moltiplicandone la vitalità.
Intanto tale asse forma un distretto turistico di interesse mondiale perché dotato di uno straordinario patrimonio archeologico-storico-paesaggistico, compreso tra il Tevere e il Sele corrispondente all’arcaico corridoio villanoviano, poi etrusco e al territorio della “regio prima” augustea. A tale proposito il presidente della Camera di Commercio di Roma e Provincia ha dichiarato: “nel campo turistico vedo le due città alleate per catturare i primi flussi turistici della Cina. Che colpo sarebbe un pacchetto Colosseo-San Pietro- Pompei-Capri. Parigi tremerebbe”.
Inoltre è dotato di circa 600 Km di costa balneare e altrettanti di parchi naturali montani. Queste due fasce di grande valore paesaggistico, destinate al tempo libero, possono essere raccordate all’asse di riequilibrio economico-territoriale RO-SA attraverso:
- le sette direttrici montane irpino-sannite da potenziare con aree produttive e servizi per rivitalizzare le due province interne collegate a monte da un “corridoio ecologico” coincidente con la via Minucia, Sulmona-Benevento;
- le sette direttrici marine opposte capaci di decongestionare le tre province costiere da
attrezzare con attività ricettive, balneari e porti turistici collegati alle “autostrade del mare”, beninteso, nel rispetto dei valori paesaggistici.
In merito alla mobilità, l’asse di riequilibrio RO-SA è oggi disimpegnato:
- dall’Alta Velocità in circa un’ora; - dal quarto aeroporto europeo, l’hub di Fiumicino (25 ml di
utenti l’anno) da coordinare a quello internazionale programmato per Grazzanise;
- dal più grande porto passeggeri, Napoli (9 ml); mentre tra Roma e Salerno connette sette interporti (Orte, Civitavecchia, Colleferro, Frosinone, Marcianise, Nola, Battipaglia).
Ma un tale sistema intermodale dei trasporti assumerà una scala territoriale euromediterranea
nella misura in cui sarà realizzato un interscambio diretto tra:
- la nuova Stazione dell’alta velocità di Afragola; gli interporti di Nola, Marcianise-Maddaloni,
Battipaglia;
- il porto crocieristico di Napoli;
- l’Aeroporto Internazionale di Grazzanise;
- i due Corridoi Trans-Europei I e VIII.
Tale ruolo eccezionale sarà svolto dal Grande Raccordo Anulare di Napoli, analogo a quello di Roma (23 Km di diametro), che integrato ai suddetti Corridoi si proietterà a scala euro mediterranea.
Questo significa che il Mezzogiorno, baricentro del Mediterraneo, assume il ruolo di una Piattaforma Logistica Intermodale proiettata nel mare.
La realizzazione di tale riassetto infrastrutturale attiverà due fenomeni sinergici:
- l’inquadramento terziario del territorio (maxiservizi, grande distribuzione, logistica, “superluoghi” polifunzionali);
- la riqualificazione quaternaria delle grandi città (centres de conceptione, de decisions, services rares).
Pertanto, questo processo potrà innescare una rigenerazione dell’intero patrimonio edilizio, attraverso due politiche complementari di incentivi:
- alla conservazione dei centri storici (mediante defiscalizzazione), alla salvaguardia del paesaggio e delle aree agricole da considerare “beni unici e irriproducibili”;
- alla rottamazione dell’edilizia post-bellica priva di qualità e non antisismica (mediante incentivi
volumetrici), mettendo in moto l’economia delle città.
Aldo Loris Rossi

Dichiarazione .........di voto radicale.

Guarda questo video e saprai di essere in buona compagnia.
Castellitto, Bellocchio e tanti altri....