Sabino Pignataro

martedì 22 marzo 2011

Riflessioni di Predrag Matvejevic.


foto di Edoardo Baraldi
In un momento difficile come quello che stiamo vivendo, tra il mare di parole di pseudo esperti che quotidianamente analizzano gli avvenimenti di questi giorni, poco spazio viene riservato a chi con serietà e sulla propria pelle ha dedicato una vita a riflettere e discutere sulle sorti di questo pezzo di mondo che è il Mediterraneo. Uno di questi è certamente Predrag Matvejevic. Lo scrittore croato che ha tante volte scritto del “Mare Nostrum”, oggi segue con passione le rivoluzioni che ridisegneranno i futuri quilibri. Egli paragona la situazione attuale a quella che vide il disfacimento dell'Unione Sovietica, con la differenza che purtroppo oggi non abbiamo visto in Maghreb un Gorbacev salire sulla scena politica, né una "Primavera di Praga" con un "dissidente" come Václav Havel, né un Lech Wálesa tra i cantieri navali di Danzica o un Karol Wojtyla per i fedeli. Dice di seguire con simpatia i giovani magrebini, però teme che possa presto venire il momento in cui le utopie e i messianismi trovano il loro unico posto tra gli accessori di un percorso incompiuto, irrecuperabile o almeno in parte inutile. Nell’Est europeo le transizioni sono state lunghe, piene di fallimenti e spesso hanno partorito “democrature”. L’islamismo potrebbe affermarsi in Paesi che non hanno vissuto una laicità storica. Lo srittore ribadisce ancora una volta la necessità di integrara la Turchia tra i paesi europei. Il grave errore è stato quello di costruire un’Europa separata dalla “culla dell’Europa”, cioè il Mediterraneo. Una delle preoccupazioni maggiori dei governi europei sono le possibili migrazioni di dimensioni bibliche dal Maghreb. Matvejevic ricorda una frase del poeta Borges: “L’Argentina? Che Belpaese italiano di lingua spagnola”».

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