Sabino Pignataro

venerdì 22 novembre 2013

A Bari i 100 anni di Albert Camus.


Saranno l’Alliance française di Bari, con l’Ambasciata di Francia in Italia, l’Institut français Italia (in collaborazione con il Teatro Kismet, l’Apulia Film Commission/Circuito D’Autore e l’Università degli Studi di Bari Aldo Moro) a onorare il centenario di Albert Camus, grandissimo Nobel francese nato nel 1913 e morto precocemente nel 1960. Il programma delle attività sarà ricco e variegato e comprenderà mostre, incontri, spettacoli e proiezioni che avranno inizio venerdì prossimo con una mostra documentaria. Tutto nasce dalla volontà dell’Alliance française di Bari che, volendo omaggiare il celeberrimo Nobel per la letteratura, intende mettere in evidenza l’attualità dell’intellettuale engagé considerato la conscience de l’Europe.

Memoria e storia hanno un ruolo di spicco, in particolar modo nell’opera “Primo Uomo”, la «storia di un uomo senza storia e dei suoi ricordi in una famiglia senza memoria», nella quale si incrociano le vicende di immense (e immortali) città quali Parigi e Algeri, le quali contrappongono, appunto, storia e memoria. Il protagonista, il “Primo Uomo”, è proprio Camus, nelle vesti di Jacques, personaggio nato su una terra “da zero” che non riesce a ricostruire la sua storia. In questa veste, riprende la storia di un’Algeria caduta nell’oblio e rappresenta, nel suo personale racconto biografico, - in modo straordinario – la storia di tutti gli uomini d’Algeria. Martedì 26 sarà proiettato in lingua originale il film “Il Primo Uomo” di Gianni Amelio, che nel 2012 è stato presentato in anteprima nazionale a Bari.
Seguiranno altri eventi: mercoledì 27 la conferenza “Simone Weil, Albert Camus e l’Europa”, che sarà tenuta dalla prof.ssa Francesca Romana Recchia Luciani («nell’incontro tra le prospettive di trasformazione di questi due straordinari pensatori», spiega la docente, «che credendo nella giustizia e nel bene collettivo lottarono perché divenissero progetti concreti e non solo ideali irraggiungibili, ci sono i germi per un rinnovamento dell’Europa e dei suoi valori profondi quanto mai urgente e imprescindibile»); giovedì 28 sarà proiettato al teatro Kismet in anteprima regionale lo spettacolo “Le Premier Homme” interpretato da Jean Paul Schintu;

infine, venerdì 29 nella sede dell’Alliance ci sarà un “Omaggio a Camus”, con la lettura libera di brani scelti dall’opera di Albert Camus.
L’ingresso ad ogni evento è gratuito. Per approfondimenti e informazioni è possibile contattare i numeri 080.5210017, 080.579.76.67 (spettacolo), 080.9644.826 (cinema), oppure visitare la pagina web http://www.teatrokismet.org/.

martedì 24 settembre 2013

Mediterraneo video festival vince Andrey Slabakov.

Il Mediterraneo Video Festival è un concorso internazionale del cinema documentario giunto alla sua XVI edizione che si è svolto ad Agropoli(SA) dal 20 al 22 settembre 2013. E' lo spazio dove si incontra e si confronta la cinematografia documentaristica internazionale, con particolare attenzione ad un cinema che riflette la diversità umana e la comprensione delle differenze, che promuove il rispetto delle identità dei luoghi e favorisce il dialogo interculturale.


La giuria composta da  Tony Shargool  Jamal Ouassini e Alessandro Pesci ha assegnato il premio al miglior documentario a Jazzta Prasta or wich are the bulgarian notes di Andrey Slabakov, (Bulgaria) 



con la seguente motivazione: “per attinenza al tema, per il panorama che offre sulla realtà poco conosciuta della tradizione musicale Rom, per il focus sulla realtà mitteleuropea, dalla periferia di Sofia al lontano Pakistan, in compagnia del fisarmonicista Martin Lubenov”.
Menzione speciale al documentario  Cello Tales di Anne Schiltz  (Lussemburgo), “per il linguaggio narrativo e la qualità tecnica delle registrazioni audio e video”.




Premio del pubblico al documentario ll lupo sul tamburo. un viaggio tra i musicisti Kazaki  di Nello Correale,  (Italia).
Menzione  a Just play di Dimitri Chimenti, Italia/Francia/Palestina.


giovedì 15 agosto 2013

Il lavoro che non c'è.

L'angoscia del lavoro che manca raggiunge il massimo d'intesità nei giorni festivi. Sembra che chi ha perso il lavoro o chi non l'ha mai trovato si senta colto da disperazione più che nei giorni feriali.
Vediamo allora quali sono i numeri che fanno così disperare i nostri disoccupati.
La cartina ed i dati sono tratti dalla interessante rivista di Limes del 29 maggio 2013.


domenica 12 maggio 2013

Fare affari nel Mediterraneo.

Istituto di Business Internazionale, presenta la nuova edizione del corso Executive di International business interamente dedicato ai Paesi del Mediterraneo e del Medio Oriente, area particolarmente strategica per i processi di internazionalizzazione delle PMI italiane, avvantaggiate dalla loro prossimità al Bacino del Mediterraneo. Il Corso Executive fornisce il know-how e gli strumenti per operare in questi mercati ad alto potenziale, caratterizzati da elevati tassi di crescita economica e demografica e che offrono politiche fiscali volte ad incentivare gli investimenti diretti.


 Il programma formativo, dopo un inquadramento sui fondamenti economici, geografici e socio-culturali dell’area, offre un’analisi puntuale con approfondimenti pratici sulle dinamiche e i fattori determinanti per le attività commerciali/produttive in loco. Il Corso approfondisce inoltre le competenze culturali e linguistiche necessarie per approcciare i Paesi di riferimento.

sabato 6 aprile 2013

L'assurdità delle guerre di religione.

Cristanziano Serricchio è stato un poeta mediterraneo. La sua è una poesia di tutti i tempi, come quella dei grandi poeti mediterranei. I suoi versi seguono la rotta delle navi che solcano l'azzurro del Mediterraneo, le voci dei porti e delle isole, delle pianure e dei borghi che incoronano il Mare Nostrum. Serricchio merita di essre nelle antologie della grande poesia mediterranea.
Rileggo il suo splendido romanzo che ha per titolo proprio “L’Islam e la Croce”, edito da Marsilio nel 2002. Cosa racconta questo romanzo e quali riflessioni fa nascere.
La città di Manfredonia è colpita e invasa dai Turchi. Un saccheggio terribile. Una città di mare per un popolo che naviga i mari. Una bambina di otto anni di nome Giacometta viene fatta schiava e portata in Turchia, nel Topkapi ad Istabul. Diventerà la sposa del sultano, o meglio la favorita. Da questo rapporto nasce Osman.
Quando il bimbo ha appena due anni, insieme alla mamma, compie un pellegrinaggio verso la Mecca. Durante il viaggio vengono rapiti dai Cavalieri di Malta. Giacometta ritorna  in Occidente e rientra nella religione del Cristianesimo. 
Così Osman viene formato ed educato al cattolicesimo e resterà nella storia della vita del romanzo con il nome di fra Domenico Ottomano. Diventa così il tramite tra la cattolicità cristiana e l’Oriente musulmano. Tanto che alla morte del padre Ibraim cercherà di diventare sultano dell’Impero d’Oriente. È stato definito l’uomo della mediazione. 

Tra le sue pagine una religiosa lezione: “L’odio, la vendetta, la guerra eterna tra due fedi hanno bisogno di tempo perché gli uomini prendano consapevolezza della loro assurdità”.

domenica 31 marzo 2013

La nuova via della seta.


La Via della Seta ha rappresentato la rete dell'economia del mondo che ha fatto grande Roma, la Cina, la Persia, l'Impero mongolo, Venezia. Poi il mondo è cambiato, l’Eurasia progressivamente ha perso la centralità e vi fu l’ascesa dell’Atlantico settentrionale; quindi il canale fu ostruito. Ma oggi diversi Paesi dell'Eurasia spingono per riaprirla e, tra questi, anche la Cina, che sta tornando a essere la potenza globale di un tempo. "Una 'Via della seta' multidimensionale, che consiste di strade, ferrovie, voli aerei, oleodotti e gasdotti, sta prendendo forma".Per Pechino l'apertura della via occidentale è strategicamente fondamentale. In primo luogo perché permette di evitare che i suoi rifornimenti debbano passare prevalentemente dal mare, con i rischi connessi alle vie marittime nel sudest asiatico, dove i "competitor" regionali e globali della nuova potenza emergente potrebbero riuscire, in caso di conflitto, a creare blocchi. In secondo luogo perché accrescerebbero l'influenza di Pechino in Asia centrale, una regione ricca di risorse energetiche. In terzo luogo perché renderebbero più diretti, costanti e meno costosi i commerci con l'Europa. Accanto a questo, la speranza dei sostenitori del progetto è quello che lo sviluppo porti anche stabilità regione. L'instabilità s'è manifestata negli ultimi decenni in particolare in Afghanistan e Pakistan, ma ha anche pericolosi potenziali in diversi Paesi dell'Asia centrale. La stessa Cina, d'altronde, è preoccupata della situazione in Xinjiang. Una stabilità necessaria per una Cina che – col Giappone e gli Stati Uniti che fanno da blocco nel Pacifico – ha necessità di avere aperto il suo occidente se non vuole rischiare l'isolamento. Agganciare l'Asia centrale a un flusso commerciale e di idee che dall'Europa alla Cina e dall'Asia centrale ex sovietica verso sud, all'India (per esempio, col gasdotto Tapi Turkmenistan-Afghanistan-Pakistan-India), potrebbe anche voler dire coinvolgere anche gli altri attori regionali, come la Russia, l’Iran e la Turchia. A una riunione a fine 2011 dell'Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (SCO), il primo ministro russo (poi ritornato alla presidenza) Vladimir Putin - ricorda il sito internet Eurasianet.org - ha proposto d'investire 500 milioni di dollari nel progetto CASA-1000, che dovrebbe portare elettricità dall'India al Pakistan. D'altronde Mosca promuove un'Unione euroasiatica e ha sostanzialmente costituito un mercato unico con Bielorussia e Kazakistan. Oltre a godere indirettamente di un ritorno alla stabilità di una regione per lei fondamentale, Mosca si troverebbe, insomma, in pieno lungo la Nuova Via della Seta e potrebbe cogliere importanti opportunità economiche. Il Kazakistan, dal canto suo, è da sempre un grande promotore della riapertura della Via della Seta e, in particolare, sta investendo sul suo tratto del corridoio autostradale Europa-Cina, che sarà lungo oltre 8.400 chilometri (2.700 dei quali in Kazakistan, che costeranno in tutto 6,7 miliardi di dollari). Le istituzioni finanziarie multilaterali ci stanno mettendo risorse, dalla Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo alla Banca di sviluppo asiatico (Adb, con forte presenza giapponese e cinese), passando per la Banca di sviluppo islamico. Secondo l'Adb, se si aprisse il Corridoio Europa-Cina, entro il 2020 il Pil kazako crescerebbe del 68 per cento e quello degli altri paesi della regione del 43 per cento. Astana, peraltro, si sta mettendo avanti con il lavoro. A cavallo del confine con la Cina è in via di costruzione - tra Khorgos e il Xinjiang - una zona di libero scambio frontaliera con la Cina. L'idea di Astana - scrive Eurasianet - è quella di imitare il percorso della  cosiddetta "Tigri asiatiche" per diventare il "Leopardo delle nevi dell'Asia centrale". In questo quadro vuol poi rientrare anche un altro importante attore della geopolitica regionale: la Turchia. Oggi Turchia e Kazakistan devono avere un ruolo importante e assumersi una responsabilità storica nel promuovere i nuovi corridoi per il trasporto, le comunicazioni e l'energia, in altre parole, creare una nuova Via della Seta che unisca Europa e Asia. Il continente eurasiatico continua ad avere un ruolo storico strategico, che è stato rafforzato grazie alle ricche risorse dell'Eurasia. Importante è il completamento della ferrovia Baku-Tbilisis-Kars, un passo cruciale per far rivivere la storica Via della Seta". In tutto ciò dobbiamo ricordare che il Presidente dell’Iran e il Presidente del Pakistan hanno inaugurato la fase finale del gasdotto tra i due Paesi. Già completato nel tratto iraniano, il gasdotto – che corre su un totale di circa 1.800 chilometri – dovrebbe entrare in funzione il prossimo anno. Da costruire mancano i quasi 800 chilometri che uniscono la frontiera alla località pakistana di Nawabshah. Il progetto del "Peace pipeline" era stato avanzato da alcuni esperti negli anni 90, tuttavia solo dopo 10 anni di discussioni era finalmente stato posto all'attenzione dei governi ma il processo che ne seguì si dimostrò piuttosto tortuoso. A causa delle pressioni degli Usa, l'atteggiamento indiano era sempre stato passivo e alla fine l'India aveva annunciato in modo ufficioso di volersi ritirare dal progetto. Tuttavia l'Iran e il Pakistan non hanno rinunciato e l'atteggiamento del primo in particolare è sempre stato molto positivo. Forse l’India potrà tornare in gioco un domani. Nel 2007 l'Iran ha iniziato la costruzione del gasdotto sul proprio territorio e, secondo quanto riportato dai media locali, le spese di costruzione sono ammontate a circa 2 miliardi di dollari. Per aiutare il Pakistan ad accelerare la costruzione del gasdotto, l'Iran gli ha concesso un prestito di 500 milioni di dollari. Gli accordi di cooperazione del progetto sono stati firmati alla fine del mese scorso in occasione della visita di Zardari in Iran, durante la quale i due paesi hanno concordato di concludere la costruzione del gasdotto nel 2015. Considerato dal Pakistan come un mezzo per fare fronte alla cronica carenza di energia, è inviso agli Stati Uniti a causa del programma nucleare iraniano. A più riprese Washington ha cercato di dissuadere Islamabad, paventando anche possibili sanzioni. Ma a quanto pare gli interessi dei vari attori regionali, principalmente Cina, Russia, India, Pakistan, paesi dell’Asia centrale, Iran, Turchia e senza dimenticare i benefici per l’area mediterranea, vanno oltre le minacce nordamericane. Un nuovo mondo sta nascendo, il baricentro delle dinamiche globali si sta muovendo, dopo qualche secolo, dall’Occidente all’Asia (Eurasia).

sabato 30 marzo 2013

Fuochi di Buttafuoco.


Ogni traccia è un tizzone rovente lanciato contro il conformismo negli anni del pensiero liquido, semplificato e striminzito come un tweet. L’omologazione è quella dei benpensanti, dei politicamente corretti, degli occidentalisti, degli indifferenti, dei nostalgici di un passato che non torna. Per sfuggire a questo gioco di incasellamento per mezzo di categorie senescenti, l’unico antidoto è la ricerca della scintilla di verità oltre il canovaccio della propaganda. E da questo lampo si accendono i “Fuochi” (pp.234, euro 14,50, Vallecchi), l’ultimo libro nel quale Pietrangelo Buttafuoco riannoda i fili di un “originario” itinerario esistenziale e politico. Lo sguardo dello scrittore diventa così pietrificante come quello di una Gorgone quando mette in risalto l’arretratezza della Sicilia, dove “l’unica cosa che si può fare è la villeggiatura”, perché l’ambizione di avere spiagge pulite o aeroporti moderni si scontra con l’insensatezza fatalista che diventa mito incapacitante.

Buttafuoco si addentra nella propria terra senza indulgenza. Ricorre alle storie note o poco note. Tratteggia i caratteri di politici naturalmente cinematografici, come Mirello Crisafulli e Totò Cuffaro; rende onore all’imprenditore isolano Sandro Monaco e riconosce nel siciliano “la lingua della politica” come codice di dissimulazione, celebrazione, purché tutto avvenga nel “metalinguaggio”. Poi ci sono i ritratti di testimoni del nostro tempo, da Jorge Haider a Silvio Berlusconi, fino a Mario Vattani, già console italiano a Osaka, profondo conoscitore della paideia dei giapponesi, che non rinuncia alle note ribelli con i Sottofasciasemplice, gruppo musicale che ha rivoluzionato la scena del rock identitario. Paolo Conte diventa l’icona dell’Italia “immune dalla parodia”, la Folgore è una brigata di eroi da preservare oltre ogni retorica, alla quale avvicinarsi attraverso la mediazione di Tomaso Staiti di Cuddia o di Sergio Claudio Perroni. Poi c’è Romano Mussolini e il suo “jazz d’antemarcia”, dal passo sognatore, Oriana Fallaci icona della “destra scimmiesca”, il comunismo e i comunisti come dignitoso contravveleno sulla strada della liberaldemocrazia. Due interviste come veri diamanti: a Norberto Bobbio, che confessa la rimozione “vergognosa” del passato in camicia nera da parte di una intera generazione, e a Eugenio Scalfari, sacerdote “del mestiere della giornata che è il giornalismo”. E tra Giorgio Bocca e la santificazione della Lapa brilla Paolo Isotta, sublime critico musicale del “Corriere della Sera”, “ultimo superstite di tremila anni di civiltà europea prima che l’età della tecnica e della democrazia avesse la meglio”. O Urgen Khan, junker baltico, generale dello zar e principe mongolo immortalato da Hugo Pratt in “Corte Sconta detta Arcana”, che nessuna biografia Adelphi riuscirà a rendere politicamente corretto: capo dell’ultima armata bianca, rifiutò di bendarsi gli occhi quando l’Armata Rossa lo fucilò e prima di essere finito dalle pallottole volle inghiottire, per portare con sé, la Croce di San Giorgio. Tra tutti gli affreschi di una galleria che racchiude l’Italia tra Novecento e Anni Zero, risalta infine Nino Buttafuoco, sindaco di Nissoria, deputato a Roma, a Palermo, a Strasburgo, protagonista dell’operazione “Milazzo”, simbolo del fascismo declinato dal sole di Sicilia: l’omaggio allo ‘zu Nino prende le forme del cuntu con il romanzo epico “Le uova del drago”.
I “Fuochi” sono bussola in forma di giornalismo (“sede della nostra vita sociale/ultima delle periferie”) nell’era del banderuolismo a cui fa da contraltare la coerenza di Beppe Niccolai, Giuseppe Berto, Alberto Burri e Gaetano Tumiati, a cui non potranno mai somigliare gli italiani che si rinnoveranno abiurando il proprio passato. “La fedeltà –scrive Buttafuoco – è stata ridotta a macchietta e la lucerna della dignità è stata tutta prosciugata. Fatto fu che Filippo Anfuso, ambasciatore a Berlino, uomo di grande fascino e di rara eleganza, dopo anni di prigionia in Francia, lacero e smagrito tornò nella sua casa di Catania. Si presentò al cancello della sua nobile dimora e, quando il maggiordomo si precipitò per allontanarlo immaginando di avere a che fare con un questuante, nel riconoscerlo, malgrado gli stracci, commosso gli disse: ‘Eccellenza, ma Vossia proprio a favore degli italiani si doveva mettere?’”.
Da che parte per la destra? A questa domanda lo scrittore siciliano non si sottrae e sembra tornare ragazzo, ai comizi di Catania di Giorgio Almirante, o mentre canta all’alba del Gianicolo l’Inno a Roma insieme a Vincino, vignettista del “Foglio” con una brevissima militanza a Palermo nella Giovane Italia, negli anni di Paolo Borsellino e Pierluigi Concutelli. 

Quando la mozione degli affetti cede il passo alla riflessione si arriva al dunque, al bilancio che “il Segretario” non ha mai voluto fare, e all’occasione perduta dalla destra di governo, che in Rai passerà dalla “ricotta di zoccole” alla pratica misera della “sostituzione di figurine”. E allora si viene assaliti dal rammarico, per non aver dato una rotta da seguire a chi voleva entrare “nella viva carne d’Italia”, abbeverandosi alle pagine di “Tabularasa” con gli scritti di Niccolai, Paolo Signorelli e di Antonio Carli, che nel primo editoriale tracciava con nettezza il perimetro di un’antropologia differente: “Chi non comprende il rischio senza interesse, la passione senza vizio, non può capirne le motivazioni”.

sabato 9 marzo 2013

Anemos.



Un viaggio letterario lungo le coste del Mediterraneo alla (ri)scoperta di miti, racconti e leggende per costruire la storia dei venti: ecco il percorso che il ricercatore e grande appassionato di mare Fabio Fiori compie nel suo nuovo saggio "Ánemos. I venti del Mediterraneo", che Mursia ha mandato in libreria, in occasione della festa mondiale del vento promossa dall'Ewea, l'associazione europea dell'energia eolica e dal Gwec, il Global Wind Energy Council e organizzata in Italia da Anev, associazione nazionale energia vento.
A partire dalla personale esperienza di velista e di studioso del mare, Fiori ricorda ­ come in un diario di bordo ­ i propri viaggi, lasciando però che siano i venti i veri protagonisti. Attraverso puntuali e precisi riferimenti alla letteratura, all’etimologia, alla storia, alla musica e alla mitologia si possono così sfogliare i petali che vanno a comporre la celebre rosa dei venti. A ognuno dei venti viene dedicato un capitolo nel quale, assieme a un’accurata analisi dei principali snodi storici e mitologici, riaffiorano rimandi all’arte e alla poesia di autori italiani: a esempio, Eugenio Montale, «il poeta più attento ai venti», oppure Salvatore Quasimodo al quale «il vento entra nel sangue» e, ancora, Umberto Saba che mal sopportava la Bora “chiara” ­ quella che soffia rabbiosa nel cielo sereno ­ e preferiva quella “scura” per la sua «buia violenza».
Navigando nelle pagine delle tradizioni si approda infine all’antica Grecia, dove il vento era ánemos, ovvero quell’inafferrabile e misterioso soffio, quell’unico «immutabile elemento dalla notte dei tempi» che ha permesso all’uomo antico, e permette ancora all’uomo moderno, di viaggiare e di estendere le proprie conoscenze.

domenica 10 febbraio 2013

Dopo l'Occidente.



Aprirai un conto corrente. È questo l’Undicesimo Comandamento; non avrai altro Dio all’infuori di me... Andrai nella tua banca ogni mattina, che è la tua chiesa, e quei pochi soldini li verserai lì, così che il governo possa controllare se davvero li adoperi soltanto per mangiare.” Ida Magli lancia un caustico grido di allarme contro l’attuale indirizzo politico e il nuovo apparato di governo, denunciando quello che per molti rappresenta un importante passo avanti dell’Italia verso l’acquisizione di una piena dimensione “europea” e che, ci dice la grande antropologa, costituisce invece un’ulteriore tappa verso il definitivo declino della nostra cultura, l’accettazione passiva di falsi valori che, dietro il culto della forma e dei numeri, nasconde l’incapacità di immaginare un vero futuro.

 Un j’accuse che non risparmia nemmeno il Vaticano, la Chiesa e il suo clero, colpevoli di non saper difendere la storia, l’arte e la tradizione – le ricchezze autentiche delle nazioni – dalla progressiva desertificazione della civiltà e di non saper controbattere efficacemente alla tecnocratica religione del profitto, fondata sul dogma della crescita perenne, che terrorizza agitando l’ingannevole spauracchio del default. Perché nessun popolo “fallisce”, e una cultura è viva finché continua a credere in se stessa e nella propria storia

sabato 19 gennaio 2013

Il pensiero di Scipione Guarracino.



Un mare antico, antichissimo, come la storia dell’uomo, un aggettivo che ha finito col diventare il nome proprio di una regione marina che unisce tre continenti e tre civiltà. Il Mediterraneo, nei millenni della sua esistenza, è stato e continua ad essere un luogo di scambio di conoscenze, di migrazioni di popoli, di commerci e di guerre; e per questo, il Mediterraneo è il mare del Mito, capace di attrarre pensatori, scrittori e storici di ogni epoca: da Omero ad Erodoto, da Fernand Braudel a Predrag Matvejevic, da Abraham Yehoshua ad Amin Maalouf.
Tutto questo è raccontato da Scipione Guarracino, docente presso la facoltà di Scienze Politiche di Firenze, nel saggio “Mediterraneo”, edito da Bruno Mondadori. Dalle sue pagine, emerge chiaramente la sovrapposizione, l’intreccio e la contrapposizione fra le tante civiltà che hanno scritto la storia mediterranea, in una convivenza delle diversità: una condizione necessaria al futuro di un mare che continua ad essere al centro dei destini del mondo. Braudel disse che il Mediterraneo ha tante frontiere (più di 100), ha tanti beni, ma soprattutto ha tanti circolazioni di uomini e tanti scambi culturali. Il Mediterraneo è dinamico, non è affatto statico, ma anzi viene considerato dallo Storico Braudel una distesa di pianure liquide interrotte da porte: le porte sono quelle “strettoie” che si trovano nel Mare Nostrum, esempio di porta può essere la parte di mare compresa tra la Tunisia e la Sicilia. Ogni porta permette l'accesso a nuove culture e nuovi popoli. La varietà di popoli interessati dalla sfera Mediterranea ha fatto sì che questa zona del nostro pianeta per quasi 2000 anni è stata il centro economico e culturale in assoluto. Non è sbagliato parlare quindi di una storia Medievale Eurocentrica, perché effettivamente il Mediterraneo è stato già dal tempo dei greci e dei Romani l'epicentro dell'umanità.
Non è però dello stesso parere Braudel che invece rappresentò il Mondo con i poli invertiti, in Modo da mettere in evidenza la presenza del deserto del Sahara che effettivamente prevale e il Mediterraneo passa veramente in secondo piano. Quello che Braudel vuole dimostrare è che l'Africa, come anche tutta l'Europa continentale, è in strettissimo rapporto con il mediterraneo settentrionale. Non si può parlare di mediterraneo senza considerare l'importanza che l'Africa ha per tutta l'Europa; parte del merito del successo sviluppatosi lungo le coste di questo “grande lago” è da attribuire appunto all'Africa, soprattutto per la ricchezza dei prodotti e dell'oro che venivano importati in Europa. Lo scopo di Braudel è quello di screditare la teoria di una storia eurocentrica.

sabato 12 gennaio 2013

François Beaune e la Rapsodia del Mare di Mezzo


E’ un mare in mezzo alle terre il nostro, un mare, come scriveva Borges, che unisce ciò che separa: ma occorre riconoscerne il canto, raccoglierlo, cucirlo insieme, tessere una sola tela con le sue molteplici suggestioni – o creare una rapsodia, che letteralmente è proprio questo: tessitura di canti diversi in uno solo. E François Beaune, come un antico rapsodo venuto da lontano, si è impegnato in questo straordinario lavoro di tessitura: da un paese all’altro, raccoglie e intesse le storie che gli vengono raccontate, storie vere di un momento importante, di qualcosa che ha lasciato un segno, che è bello condividere -”partager”  è la sua parola d’ordine. Le storie sono di dei e di eroi, sono le nostre: quelle di tutti noi Dei ed Eroi. Chiunque può partecipare: basta pensare a qualcosa che ci abbia colpito, che per noi sia stato importante, qualcosa che magari non abbiamo mai raccontato; e poi, andando sul sito inserirla. Pian piano la nostra diventerà una vera e propria Rapsodia: la storia del Mito che in noi vive ogni giorno; e forse arriveremo a scoprire che lo Straordinario si cela dentro ciò che noi pensiamo sia Ordinario. E’ solo nella condivisione, in questo partager et melangérche la con-versione avviene. Noi siamo il Mare di Mezzo: pensiamoci!