Sabino Pignataro

domenica 11 gennaio 2009

Viaggio in Puglia tra i nuovi schiavi

Alessandro Leogrande è l'autore del libro-inchiesta “Uomini e caporali”, edito da Mondadori. «Decine di migliaia di persone ogni anno si riversano e spariscono nei campi del Tavoliere delle Puglie per raccogliere pomodori. Non è raro che vengano ritrovati i corpi dei braccianti morti e abbandonati sul ciglio delle strade per simulare un incidente. Nei campi coltivati circola di tutto, anche anfetamine che disciolte nell’acqua permettono agli schiavi moderni di superare stanchezza e caldo». Casali diroccati, materassi buttati sul pavimento, costretti a vivere nella clandestinità e nella sporcizia. È questa la realtà di circa 15mila persone, attratti da una paga che per gli standard della povertà sembra un miraggio (6 euro a cassa di pomodori, insieme a vitto ed alloggio) raggiungono i campi pugliesi. All’arrivo però, li aspettano bastonate, insulti e fatica. La paga si rivela poca cosa ed a decidere come e quando si viene pagati sono i caporali. Il nuovo caporale non è, dunque, il semplice intermediario che ci eravamo abituati a vedere nelle pianure meridionali al tempo della raccolta dei prodotti, ma è diventato negli ultimi anni – col tacito accordo del proprietario dei terreni - l’asettico gestore di un “campo di lavoro”, dove i diritti minimi e ogni forma di ragionevolezza sono soppressi e i corpi delle persone sono ridotti a”nuda vita” da afferrare, manipolare, violentare, sopprimere. Laddove esistono questi “campi” fuori dalla legge, le nostre campagne non sono regredite nell’Italia contadina di una volta, come potrebbe apparire ad un osservatore frettoloso, ma sono state catapultate nella postmodernità più cruenta verso un grado di sfruttamento di quella “nuda vita” quasi totalitario, che gli stessi caporali vissuti ai tempi di Di Vittorio avrebbero faticato a immaginare. Decine di persone - in prevalenza polacchi - fagocitati dai campi e mai più ritrovati. La polizia di Varsavia ha aperto un sito internet con le foto dei dispersi, nella speranza che qualcuno possa riconoscerli e ritrovarli. E se capita di riconoscere un tumulo di terra con un bastone conficcato nel terreno, quasi sicuramente si tratta della sepoltura di uno dei tanti braccianti irregolari, morti di lavoro nero.
L’Italia è il secondo Paese produttore di pomodoro al mondo: 50 milioni di tonnellate l’anno. La Puglia, da sola, ne raccoglie il 30 per cento. La legge regionale pugliese contro il lavoro nero, varata a fine 2006, sta contribuendo a responsabilizzare le imprese ma i suoi effetti sono ancora limitati e rischiano di essere condizionati dalle recenti decisioni del ministro del Welfare, Maurizio Sacconi. La direttiva emessa a fine estate, infatti, intima di focalizzare l’azione ispettiva sulla ‘sostanza’ e non sulla ‘forma’, creando un’impasse normativa anomala dove l’ispettore rischia di andare contro le normative o di non rispettare la direttiva ministeriale. Mentre divampano i conflitti sociali di un’Italia multirazziale, nelle campagne meridionali non solo mancano le lotte ma brillano per la loro assenza i partiti e le organizzazioni sociali. E dalle aree rurali vanno via i giovani, alcuni perché non trovano opportunità di impiego, altri perché rinunciano ad avviare nuovi percorsi che pure avrebbero potenzialità di successo. E tutto è lasciato al degrado mentre arrivano dall’esterno nuovi cafoni, e nuovi bravi e nuovi signori feudali stabiliscono la posta in gioco e tutti vanno ad insediarsi negli spazi lasciati vuoti dalle comunità locali che latitano. Forse solo un ambizioso progetto di ripopolamento delle aree rurali, che veda protagonisti una leva di giovani meridionali e gruppi di immigrati, che si fondi sulla crescita di nuove attività economiche legate all’agricoltura di servizi ed alla valorizzazione delle risorse culturali può permettere al nostro Mezzogiorno di affrancarsi da questa violenza e di produrre un’innovazione che si innesti sulle radici della migliore tradizione meridionale e mediterranea.

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