Sabino Pignataro

venerdì 30 ottobre 2009

Il più grande parco solare mediterraneo è italo-giordano.

Situato nel sud della Giordania, Shams Ma’an si estenderà su un’area di 2 km quadrati e attraverso 360mila pannelli solari produrrà 168.100 megawattora (MWh) di energia pulita, un fabbisogno di 60mila famiglie. Il progetto nasce dalla partnership tra l’italiana Solar Ventures con le società giordane Kawar Energy e First Internaitonal for Investment and Trade. A Milano è stato firmato l’accordo per l’acquisizione del terreno e la costruzione della centrale davanti al re Abdullah II di Giordania, in visita ufficiale in Italia. Il parco fotovoltaico sorgerà nel sud del paese, nei pressi della città di Ma’an, e alimenterà in primo luogo l’adiacente area industriale. «E’ una zona perfetta ha commentato Sauro Mostarda, responsabile del progetto per Solar Ventures, perché è assolata e secca, ma diversamente dalle regioni desertiche non c’è la sabbia, che graffia i moduli». I primi 10 megawatt di picco (MWp, che indicano la potenza nominale di una centrale) saranno costruiti entro la fine del 2010, per poi arrivare a 100 MWp nel 2012. Anche se l’area a disposizione permetterà in prospettiva di estendersi fino a 200MWp. «In realtà il progetto complessivo per quella zona è più vasto, non riguarda solo l’energia rinnovabile. È un’operazione di sviluppo locale che comprenderà anche un polo tecnologico e un’area residenziale», spiega Mostarda. Nell'occasione, il re giordano ha preannunciato, entro fine anno, l’adozione di una legge per incentivare le rinnovabili. Il governo di Amman – nel tentativo di accrescere la propria indipendenza energetica – sta infatti puntando su solare ed eolico.

I giovani industriali: il Mezzogiorno porta del Mediterraneo.

Il convegno di Capri torna a porre al centro del dibattito il ruolo e l’importanza che «dovrebbe avere» il Mezzogiorno d’Italia nel Me­diterraneo. Dovrebbe , perché fino a oggi, come ricorda il presidente dei Giovani industriali della Campania, Mauro Maccauro, «nonostante le nu­merose parole profferte sul tema, di risultati concreti se ne sono visti po­chini».
Il canovaccio su cui si dipanerà la XXIV edizione della convention degli imprenditori under 40 di Confindu­stria (Mediterraneo: dall’Europa al Golfo, la rotta versso nuovi orizzon­ti) era già noto da tempo. Allo stesso modo era già noto il programma e il panel dei relatori. Il 30 e 31 ottobre sull’isola Azzurra, all’hotel Quisisa­na, è infatti prevista, tra gli altri, la presenza del presidente della Camera Gianfranco Fini, dei ministri dell’Eco­nomia Giulio Tremonti e dell’Interno Roberto Maroni, del presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, del deputato del Pd Walter Veltroni. Un appuntamento che, proprio per l’argomento che affronta, propone, inoltre, la partecipazione di molte e qualificate figure istituzionali inter­nazionali legate ai territori che si af­facciano sulle aree di interesse dei di­battiti. Tra questi, solo per citarne al­cuni, il presidente dei Giovani im­prenditori arabi Rami Makhzouni ospite di una cena con i giovani im­prenditori campani nella serata di giovedì e l’ex ministra della Giustizia francesce, Rachida Dati. Secondo i dati forniti ieri, quando è stata presentata ufficialmente la kermesse, nel bacino del Mediterra­neo sono presenti e operano circa mille aziende italiane che, ha prose­guito Maccauro, «hanno bisogno di migliori condizioni per essere compe­titive con aziende di Paesi come la Ci­na, la Corea, la Francia, la Spagna, la Germania e non essere seconde a nes­suno».
I Giovani imprenditori campa­ni chiedono una «nuova strategia di sviluppo»: una linea d’azione «che vada al di là delle sole considerazioni industriali e commerciali». Il Mezzo­giorno, insomma, sia la vera porta sul Mediterraneo, anche dal punto di vista sociale e culturale (attraverso le molte Università presenti al Sud, con l’obiettivo di attrarre i giovani degli altri Paesi). «Il nostro auspicio — ha detto an­cora il successore di Carmen Verdero­sa — è quello di riuscire a sensibiliz­zare il Governo e le istituzioni del Mezzogiorno a cogliere le nuove op­portunità che questi Paesi possono offrire» .

domenica 25 ottobre 2009

In Spagna bastano 15 euro al mese per comprare casa.

Marinaleda, 3.000 abitanti, un paesino come ce ne sono a centinaia nelle grandi distese di uliveti ad est di Siviglia. Marinaleda è però l’unico posto, non solo in Andalusia ma anche in Spagna e forse oltre confine, dove si può comprare o prendere in affitto una casa con 15 euro al mese. Il Comune, che ha un sindaco eletto da trent’anni, ha avviato uno straordinario progetto di solidarietà. Una casa che ti costruisci da solo, o meglio, insieme ai tuoi concittadini, con alcuni operai specializzati pagati dal comune, su un territorio legalmente espropriato al Duque del Infantado (latifondista quattro volte Grande di Spagna), circa 1200 ettari trasformati in zona municipale e poi tratti in concessione e messi a disposizione del popolo di Marinaleda per creare progresso e ricchezza. Il tutto diventerà tuo tra 133 anni (per evitare la speculazione edilizia che vive sull’immediatamente tangibile) e nel frattempo ti dai da fare, lavori e costruisci. E non è tutto. Il comune fornisce anche i materiali, i progetti, un architetto e la possibilità di ampliare la casa in seguito senza bisogno di condoni edilizi. Perché la casa è un diritto, non una mercanzia. E così, mentre la Spagna è bloccata dalla speculazione edilizia e dalla crisi finanziaria, i cantieri languono e il Real Madrid va a perdere in casa col Milan, qui, a 100 km da Siviglia, tutto è messo a disposizione del popolo realizzando un’utopia politica che si trasforma necessariamente in virtù sociale. Questa quarta dimensione, infatti, è stata possibile grazie anche alla trasparenza dei bilanci comunali, discussi addirittura in pubblico, alla vita dei campi dove si lavora sodo ed alle strade riempite da cantieri dove si costruisce sin dagli anni ‘80 realizzando, oltre alle quasi 400 case, una cooperativa agricola, un oleificio, una fabbrica e la garanzia di 49 euro a giornata per tutti, qualunque lavoro essi facciano.

sabato 17 ottobre 2009

Salvare da che?

Autore Teto
Torna il tempo del Sud. Ma attenzione alla gente che dice di voler fare le cose per il Sud. Il Sud non ha bisogno che qualcuno continui a (dire di) fare qualcosa “per” il Sud. Piuttosto forse è il mondo intero che ha bisogno di fare le cose “del” Sud, di cambiare facendo le cose “pensate dal Sud”.Il Sud non è malato, non è perennemente “arretrato”. Si, certamente è sempre nelle ultime posizioni nella classifica della gara competitiva del progresso, della ricchezza calcolata da quel ridicolo PIL. Torna il tempo del Sud e purtroppo ce ne accorgiamo anche dal fatto che proliferano le iniziative politiche ed economiche che inseriscono la parola Sud nei loro titoli (fa molto appeal) e proclamano ricette “per” il Sud, per salvare il Sud. Salvare da che? E’ questo il punto! Per non retrocedere nel campionato dell’iperproduzione, del consumismo e della corsa al progresso (?) nessun sud del mondo potrà mai allenarsi abbastanza. Non basteranno mai i dopaggi politici e finanziari e presto, rimasti nelle ultime file, torneranno per noi le flebo. Chi l’ha detto che quella è la strada della civiltà mondiale? Non bastano forse i dati di crisi di sistema mondiale che raccogliamo negli ultimi anni? Dove ci porta il modello occidentale? Dove porta il pianeta, dov’è la nostra felicità, il nostro futuro? Siamo pieni di oggetti, di strass, di luci artificiali e vuoti di speranze, di certezze, di curiosità, di serenità, di amore, di semplicità. La corsa all’inseguimento della velocità fine a se stessa ci sradica e porta via con se il tempo per gustare l’esperienza che è il patrimonio dell’umanità.Siamo sotto flebo dall’unità d’Italia, chissà come mai. Pura coincidenza? Fino ad allora era il Mediterraneo il cuore geo-culturale del mondo. Il Regno delle due Sicilie era di gran lunga più ricco del nord e per ricchezza intendo non solo quella dell’oro e delle merci, ma anche quella culturale, artistica, di civiltà e pensiero. Prima ancora c’era la Roma imperiale, la Grecia, l’Egitto. Il Sud è continuamente messo in soggezione economica e simbolica. Viene regolarmente saccheggiato dal di dentro. E, cosa assai più triste, rischia di vedersi definitivamente saccheggiata la propria identità. Ci hanno convinti di essere arretrati, mafiosi e, quando va bene (con un piglio di sfrontatezza) ci definiscono simpatici, solari, folkloristici insomma. Siamo i giullari di qualcuno e il nostro meraviglioso posto nella terra, un luna park per turisti che ci lanciano le monetine tra le sbarre di gabbie invisibili.Scusate la rabbia, anzi no, non chiedo scusa, perché la rabbia è una reazione tipica di chi sente minacciato il proprio patrimonio genetico del Sud. La rabbia, l’onore e il coraggio sono alcuni dei nostri archetipi che stiamo perdendo sotto l’effetto di quelle flebo drogate. Ma rischiamo di perdere completamente il valore della nostra identità che può segnare la strada non solo al Sud, ma soprattutto a ciò che Sud non è. Ma le flebo hanno sottolineato tanti altri nostri archetipi che virtù non sono: omertà, individualismo, esterofilia. Sono questi i lacci con i quali ci imbrigliamo da soli. Lungi da me a sollevare integralismi del Sud. Il Sud ha bisogno del mondo, perfino della cultura del nord e dell’occidente. Ma soprattutto ha bisogno di tornare a credere nelle proprie forze, nelle proprie ricchezze e soprattutto nello stile di vita che gli è più congeniale.