Sabino Pignataro

lunedì 29 dicembre 2008

Il Politecnico del Mediterraneo: una sfida partita dalla Sicilia

Nasce in Sicilia il Politecnico del Mediterraneo. Venerdì, 27 giugno, è avvenuta la presentazione ufficiale a Roma, alla Camera dei Deputati.
Costituito dalla Regione Sicilia con le quattro Università dell’Isola: Palermo, Catania, Messina, Enna, nell’anno accademico 2008-2009 potrà aprire le porte a 2.500 giovani, italiani e stranieri. A partire per primi, nell’anno accademico 2008-2009, saranno 98 corsi di dottorato di ricerca di durata biennale ai quali si potrà accedere per concorso, tutti supportati da borse di studio delle Università e della Regione. I bandi dei concorsi sono stati pubblicati a luglio 2008 con scadenza ottobre 2008.
Con il Politecnico del Mediterraneo la Sicilia conferma il suo ruolo di ponte naturale tra Sud e Nord del Mediterraneo, tra Oriente e Occidente d’Europa, e si candida a diventare punto di riferimento internazionale per la didattica e la ricerca universitaria.
L’obiettivo è formare giovani che, grazie alle conoscenze e alle professionalità acquisite, possono supportare la crescita economica dei territori che si affacciano sul Mediterraneo. Una scommessa di crescita globale che parte dal Sud.

domenica 28 dicembre 2008

Per una gestione razionale delle risorse idriche ed ambientali

Lo sviluppo sostenibile del Mezzogiorno e del Mediterraneo non può prescindere da una gestione innovativa delle risorse idriche. Sudgest, movendo da questo assunto, ha gestito il "Progetto Sudgest-MURST per la formazione di dirigenti e quadri per la gestione delle infrastrutture idriche e ambientali nel Mezzogiorno" e la ricerca "Le risorse idriche nel Mediterraneo" curata da Sudgest ed elaborata da Irem.
In quattro anni, il progetto Sudgest-MURST si è caratterizzato come un rilevante sforzo per favorire la modernizzazione in un settore, quello ambientale, che costituisce ambito privilegiato di innovazione tecnica e amministrativa e la cui salvaguardia e la valorizzazione rappresentano una delle condizioni per lo sviluppo sociale ed economico del Mezzogiorno.
Il bacino del Mediterraneo come regione geografica, ma ancor più come area culturale, è stata posta in risalto con il progetto per la creazione di una "Scuola Internazionale dell'Acqua e dell'Ambiente per la Regione Mediterranea", realizzato in collaborazione con AQP Spa e con il Politecnico di Bari. La prima annualità del corso ha interessato, prima a Bari e poi a Potenza, funzionari e tecnici di Istituzioni per la gestione delle risorse idriche provenienti da diversi Paesi del bacino del Mediterraneo. Il successo dell'iniziativa, che verrà replicata nel prossimo anno, fa auspicare che sia possibile creare una rete di collaborazione continua tra i paesi della Regione Mediterranea.

Mediterraid il giro del mediterraneo

Un tour automobilistico che si svolge periodicamente e che percorre la linea costiera dell’intero bacino del Mediterraneo e attraversa i paesi che su di esso si affacciano.
La conoscenza diretta dei Popoli, dei luoghi e delle realtà sociali è il punto di partenza per instaurare relazioni amichevoli tra le nazioni. Questa è l’idea base della iniziativa Mediterraid.
Il Mediterraid è una iniziativa che ha come scopo quello di promuovere l'interazione dell’Italia con i paesi del Mediterraneo.
Il fine è perseguito diffondendo, tramite la produzione di documentari televisivi, servizi giornalisti, mostre fotografiche, incontri e conferenze, le risultanze delle ricerche effettuate durante il tour che tendono a evidenziare gli aspetti culturali, umani e sociali dei popoli costieri.

sabato 27 dicembre 2008

Il nostro mare è un fossato che separa o un ponte che unisce.

Che cos'e il Mediterraneo, mare unico al mondo che unisce (o divide) tre continenti: un'opportunità o un ostacolo? Le risposte a queste domande sono già cruciali, poichè trascuriamo il fatto che gran parte del nostro destino continua a giocarsi sulle sponde di questo vecchio mare. «Non è ancora possibile considerare questo mare come un "insieme" - dice Predrag Matvejevic (autore del famoso Breviario mediterraneo) - trascurando le fratture che lo dividono. Le sue rive purtroppo al momento hanno in comune poco più delle loro insoddisfazioni». Giudizio amaro che lo scrittore poi compensa con previsioni meno pessimistiche. Infatti c'e chi sul Mediterraneo continua a puntare. Ha detto l'ambasciatore francese a Roma Jean-Marcde la Sablihe: «II Mediterraneo e un'immensa fortuna per l'Europa, per il nostro futuro comune. Ci sono legami storici, geografici, culturali, soprattutto un mondo da costruire insieme». Qualche peso bisogna dare a queste speranze dopo i tanti fallimenti che sono alle nostre spalle? Quando il presidente francese Sarkozy volle riunire i capi di Stato mediterranei, alla vigilia dell'ultimo 14 luglio, molti, a cominciare dai paesi arabi rifiutarono perfino di partecipare. Non sarà utopia continuare a parlare di una "Unione mediterranea" che finora non c'e stato modo di far diventare realtà? Una novità oggettiva c'e. Carlo De Benedetti e Federico Rampini vi dedicano un capitolo nel loro recente libro “Centomila punture di spillo”. E' la forza dell'economia. Le condizioni che la globalizzazione sta imponendo in quest' area non si erano mai avute nei precedenti venti o trenta secoli di storia. Detta in poche parole l'area emergente del mondo che attrae più investimenti dall'estero è proprio la costa sud del Mediterraneo, dal Marocco alla Turchia: «I nostri vicini di casa meridionali hanno visto sestuplicarsi in sette anni gli investimenti dall'estero: 60 miliardi di dollari nel 2006, poco meno della Cina (70 miliardi) , più del doppio dell' America Latina». Jean Monnet, uno dei padri dell'Europa, disse: «Se si potesse ricominciare (la costruzione europea) lo farei dalla cultura». Concetto molto nobile ma quasi certamente insufficiente. La cultura comune, quindi è indubbiamente quella europea, ha grande peso ma è molto più facile che gli individui stiano, o non stiano, insieme per ragioni d'interesse. Non è un caso che le grandi rivoluzioni, americana del 1776, francese del 1789, sovietica del 1917, abbiano sempre trovato il loro detonatore nella situazione economica. Del resto I'autorevole parere di Maurice Aymard va nella stessa direzione. In un suo studio sul commercio del grano a Venezia nella seconda metà del XVI secolo, lo studioso dimostra come i cereali importati via mare nella Serenissima abbiano compensato la scarsa produzione locale e come: «la miseria di quei lontani produttori di grano sia servita a mitigare la penuria delle città e delle campagne occidentali mal rifornite». Anche allora fu il Mediterraneo a permettere di riequilibrare bisogni economici e potenzialità commerciali tanto squilibrate. Nessuno si nasconde quante perplessità l'argomento possa suscitare. «E' chiaro, afferma Abdessalam Cheddildi, che la congiuntura mondiale impone ai paesi rivieraschi di lavorare insieme. D'altra parte I'Europa non si decide a dare tutto l'aiuto che potrebbe ai paesi della costa sud, prigioniera, troppo spesso, di cliche, immagini deformate o negative sull'Islam, sul terrorismo». Speculare a questa "pigrizia" europea c'e quella delle popolazioni della costa sud troppo lente a fornirsi di strumenti più adeguati per conoscere loro stessi e i loro dirimpettai, che saremmo noi. Ecco quale potrebbe essere la più utile finalità di discussioni come quelle in corso a Roma: combattere questa pigrizia, fornire ai più volenterosi, o ai più svegli, dell'una e dell'altra parte, strumenti più aggiornati di conoscenza. Tanto più, commenta Bruno Aubert, consigliere culturale dell'Ambasciata francese, che «II momento è buono. Per ragioni economiche e anche perche oggi non c'e lingua o entità rivierasca che possa dirsi "egemone". Questo potrebbe aprire la strada a un linguaggio comune fondato sulla pluralità, su un'appartenenza condivisa». Il ministro Florence Mangin dice: «Considerare la "circolazione degli uomini" solo per i disperati che sbarcano a Lampedusa è miope. Al dila del trauma non c'e solo l' obbligo della tolleranza e dell'accoglienza. C'e un'opportunità che dobbiamo saper cogliere». Noi italiani soprattutto, che abbiamo già il 7% della popolazione con origine straniera.

giovedì 18 dicembre 2008

Unione per il Mediterraneo


Il Mediterraneo solare, carico di memorie, ricco di olivi e di palme, di paesi che appaiono come grappoli di case abbarbicati alle colline, di ombre che scendono dai marmi antichi, di muri colorati, di feste religiose, di santuari cristiani e di kasbhe islamiche, di palazzi, ville e castelli, di facce di contadini segnate dalla fatica e abbronzate dal sole…
Il Mediterraneo è anche il mare più famoso del mondo. Non c'è altro luogo in cui siano nate e tramontate civiltà così grandi. Differenze e contrasti che, per altro, non disgregano l'omogeneità che lega le regioni lungo le sue rive, ma sembrano quasi averla rinsaldata. Per millenni, attorno alle sue sponde, è stato tutto un rompersi e un riallacciarsi di legami. E' possibile per l'Italia immaginare il proprio futuro senza tener conto della straordinaria circostanza per cui essa si trova - geograficamente, storicamente e, soprattutto, culturalmente - al centro di questo mare e di questo mondo? E' possibile chiudere gli occhi di fronte a una vocazione che è, da sempre, iscritta nel codice genetico di questo territorio e delle popolazioni che lo abitano? E' possibile che una visione convenzionale e banalizzata della vita alimentata da gruppi di potere economico proiettati lì dove li spinge il flusso delle loro ricchezze induca, quasi, a vergognarsi di essere mediterranei? Una tendenza di pensiero ancora fortemente presente ha, per molto tempo, cercato di affermare l'idea che l'Italia debba scegliere fra l'Europa e il Mediterraneo. Quasi che non fosse parte, integrante e indissolubile, tanto dell'una quanto dell'altro. Dobbiamo rimanere aggrappati alle Alpi, è la perorazione che esemplifica questo punto di vista, per non scivolare verso le Piramidi e, cioè, nella "palude mediterranea". Oggi sono, soprattutto, le regioni meridionali - quelle che per otto secoli fecero parte del Regno nel sole fondato nel Sud italiano, al centro del Mediterraneo, da uomini del Nord quali furono i Normanni - a contrastare questa tendenza e a rialzare la bandiera mediterranea in nome non solo dell'Italia, ma dell'intera Europa.
Il Mediterraneo ha ancora molto da insegnare e un grande ruolo da svolgere. Esso costituisce uno spazio fisico determinato che incuba un ideale umano corrispondente. Uomo e ambiente definiscono questo mare e le regioni che lo circondano come uno spazio non paragonabile a nessun altro: cultura irripetibile, fioritura di temperamento e habitat come il mondo, altrove, non ha mai conosciuto e per la cui formazione sono state necessarie guerre, spoliazioni, migrazioni, lavori imponenti, biblioteche, studi, invenzioni e una energia vitale caratteristica che emana, probabilmente, dal suolo e che non si manifesta da nessuna altra parte.
Il celebre architetto Antonio Gaudi rende quest'idea in maniera semplice e chiara, quando dice che la virtù sta nel punto medio. Mediterraneo vuol dire in mezzo alle terre. Lungo le sue rive la luce media è a 45 gradi ed è la luce che meglio definisce i corpi e mostra le forme. Non è un caso, dunque, se proprio qui sono fiorite le grandi culture artistiche: al loro formarsi non è stato certamente estraneo questo particolare equilibrio di luce. Né molta, né poca. Perché, sia l'una che l'altra accecano e i ciechi non vedono.
Nel Mediterraneo si impone la visione concreta delle cose, nella quale si mostra l'arte autentica. La nostra forza plastica è costituita da un particolare equilibrio fra la logica e il sentimento. Le terre del Nord puntano tutto sulla razionalità, aborriscono il sentimento e, con l'illusione della chiarezza, producono fantasmi. Mentre quelle dell'estremo Sud, per eccesso di luce, rifiutano la razionalità e fabbricano mostri. Gli abitanti dei paesi che gravitano sul Mediterraneo sentono la bellezza con più intensità di quelli dei paesi nordici e questi stessi lo riconoscono. La gente del Nord apprezza più la ricchezza che si consegue con uno sforzo del pensiero. I loro grandi musei sono il loro vanto, li curano con grande attenzione e gli costano molto danaro, ma i nordici non badano a spese perché sono ricchi. Per le opere che contengono pagano somme favolose, che mai sarebbero state date ai loro autori che, in generale, condussero una vita misera. Questi autori erano del Mediterraneo: italiani, greci, egiziani, spagnoli… I nordici si sentono orgogliosi del possesso di tali ricchezze (si pensi ai fregi del Partenone, sottratti ad Atene ed esposti nel Museo Britannico di Londra) perché non hanno una visione plastica della vita, che, invece, caratterizza l'uomo mediterraneo e che vale più di qualsiasi ricchezza. E' giunto il momento di guardarsi intorno e di cercare di comprendere, nell'era della globalizzazione dei mercati e degli stili di vita che tende a omologare anche le identità culturali dei popoli, in che misura esiste una consapevolezza sociale della peculiarità che caratterizza il modo di pensare e di vivere che, nel corso dei millenni, si è andato consolidando attorno al mare più antico del mondo.
Al di là della retorica che porta ad accettare ciò che viene da oltre le Alpi come se fosse la verità rivelata, comincia a crescere il numero di coloro che notano e denunciano le contraddizioni di una Europa che si muove a due diverse velocità di sviluppo: l'Europa del Nord e l'Europa mediterranea. Due entità differenti non solo per la struttura economica, ma anche perché portatrici di sensibilità culturali del tutto divergenti fra loro. Più che di una Europa a due velocità, quindi, bisognerebbe parlare di due Europe che cercano, da secoli e con grande travaglio, una unità culturale che, tuttavia, non sono ancora riuscite a raggiungere. Da tempi immemorabili la storia d'Europa si presenta come il confronto fra due mentalità che dovrebbero essere complementari. Nonostante questo, nel XX secolo, si sono contati sulle dita ricercatori e intellettuali che si sono dedicati a una riflessione su questa realtà che finisce con il suggerire un ragionamento sui fini e sui mezzi della società industriale avanzata, sul rapporto fra tecnologia e civiltà, una riflessione che per l'Italia ha una rilevanza decisamente strategica.
E' necessario colmare questo vuoto e riconsiderare la storia europea per scoprire le cause e le origini di quello che si può definire l'uso volgare della tecnologia. Secondo quanto hanno osservato con particolare lucidità lo spagnolo Luis Racionero (El Mediterraneo y los barbaros del Norte) e l'italiano Franco Cassano (Pensiero meridiano), il mondo nordico si è distinto nella sua capacità di saper produrre, mentre quello mediterraneo, proponendo come virtù quelli che gli sono rinfacciati come difetti, potrebbe distinguersi come guida al consumo verso una migliore qualità della vita. Queste due dimensioni, quantità e qualità, efficienza e bellezza, definiscono le due Europe alla ricerca di quell'unità culturale la cui mancanza costituisce il tallone di Achille del vecchio continente: il sangue giovane del Nord, che ha propiziato la rivoluzione industriale, deve affinarsi attraverso gli ideali umanisti del Mediterraneo.
Ci troviamo di fronte ad una prospettiva caratterizzata dalla dicotomia fra tecnologia e civiltà: l'opulenza materiale e la qualità della vita che differenziano l'esistenza delle due Europe attraverso mentalità e modelli di vita notevolmente diversi. Il mondo mediterraneo, facendo leva, con greci e romani, su una società di schiavi, costituì una società di ozio creativo. Il mondo nordico, su una industrializzazione di massa, ha costruito la società del consumo. Ora gli sviluppi della tecnologia e i processi sempre più avanzati di automatizzazione della produzione ci fanno intravedere la possibilità di dar vita a una nuova civiltà dell'ozio, dove il ruolo degli schiavi sia assunto dalle macchine. Quest'idea stenta a prendere corpo perché i nordici, impregnati di puritanesimo, continuano ad idolatrare il lavoro e l'efficienza produttiva. E' giunto il momento di promuovere una razionale adesione di tutta l'Europa agli ideali epicurei ed umanistici del Mediterraneo. Se i nordici hanno saputo produrre, i mediterranei sanno consumare. L'arte di vivere non si improvvisa. Non basta essere ricchi per praticarla. E' necessario possedere uno spirito raffinato ed essere eredi di una lunga storia, qualità che i nuovi nordici non posseggono. Il livello di vita in Occidente ha raggiunto punti di benessere che permettono di porsi questioni di qualità.
La teoria secondo cui il sangue giovane dei barbari del Nord risvegliò i degenerati abitanti della regione mediterranea dal loro interminabile ozio di Capua era coerente con l'epoca dell'industrialismo entusiasta. Ora sono proprio i giovani nordici che vanno verso il Sud mediterraneo e ricercano la nozione della misura. Sono stati loro i primi a denunciare - attraverso i movimenti verdi, ecologisti e alternativi - la fallacia dello sviluppo illimitato, l'aggressività della razionalità esasperata ed il concetto disumano del lavoro fine a se stesso. Gli apatici e scettici uomini del Mediterraneo avevano le loro buone ragioni per affrontare la vita con tranquillità. Non si trattava di degenerazione o di mollezza, ma di moderazione e di misura che nascevano dal sapere e dalla consapevolezza.
Coerente con la mentalità utilitaristica degli anglosassoni, l'Occidente propone soluzioni tecniche ai problemi culturali senza rendersi conto che le soluzioni non sono materiali, ma mentali, come sostengono gli umanisti del Mediterraneo. Al contrario, i popoli mediterranei hanno imitato il modello tecnologico del Nord, di cui subiscono il fascino. Ma, le mentalità continuano a rimanere distinte, perché cultura e civiltà sono espressioni di processi storici di lunga durata. Sino al 2000 avanti Cristo, affermava J.H. Breasted, si ebbero importanti movimenti di popoli nomadi da steppe e deserti fino alle aree civilizzate del Mediterraneo. Pur sotto il dominio di ariani, dori e romani, esisteva e continuava a esistere, però, il sostrato degli antichi popoli mediterranei (cretesi, etruschi, sardi, sikani, liguri, tartesi) che seppe civilizzare gli indoeuropei e portare alla formazione dello spirito che, poi, caratterizzò la civiltà dei greci e dei romani. Quando i greci e i romani furono civilizzati dal sostrato degli antichi popoli del Mediterraneo, si produsse una nuova invasione di barbari del Nord. Questa volta germanici, che distrussero la civiltà greco-latina e quella mentalità ancestrale del Mediterraneo, sorta dalla stessa terra e rigeneratasi così come si rinnovano i suoi alberi e le sue piante.
Uno sfortunato evolversi della storia ha fatto sì che i popoli del Nord impostassero un modello produttivo basato sulla tecnologia prima di avere il tempo di civilizzarsi attraverso il contatto con le regioni urbanizzate del Sud mediterraneo. Queste affermazioni, forse, possono sembrare taglienti. Bisogna riconoscere, sia pure con tutte le sfumature necessarie, i grandi apporti culturali del Nord: gli esploratori inglesi, gli eruditi tedeschi, i missionari svizzeri, il socialismo svedese, Goethe e Russel, la raffinatezza di Oscar Wilde. Nonostante ciò, un fatto è certo: che capitalismo e meccanizzazione sono prodotti del Nord e che quella parte dell'Europa, in termini generali, a causa della brevità della sua storia, mantiene segni allarmanti e oggettivamente riscontrabili di una mentalità barbara, suscettibile di manifestarsi durante la guerra con orrori terrificanti e di proiettarsi sinistramente anche sul sistema economico.
E' anche bene considerare che i termini contrapposti di barbaro e mediterraneo si riferiscono a modi di comportamento più che a luoghi geografici. Tuttavia, sussistono tre fatti importanti. Primo: che i barbari calarono dal Nord sul Mediterraneo. Secondo: che nei paesi del Nord non esistettero città fino al XIII secolo. Terzo: che il Mediterraneo è una zona climatica abitabile, mentre il Nord è inospitale. Tutto questo - al pari del vino e della birra, del lardo e dell'olio d'oliva - distingue due diverse Europe. Quindi vennero gli americani liberatori, repubblicani, ricchi e generosi. Una intera generazione guardò con entusiasmo all'american way of live. Si imitò l'efficientismo tecnocratico e industrialista e, negli anni '60, l'Europa mediterranea entrò nella società del consumo. Il risultato è sotto la vista di tutti. Il progresso materiale è innegabile e, in buona misura, apprezzabile. Ma, l'arretramento dal punto di vista umano e della qualità della vita appare altrettanto rilevante. La prospettiva più probabile, però, è, oggi, quella dell'inquietudine nella ricchezza. Per i paesi mediterranei si può parlare di sopravvivenza nei limiti degli interessi dei mercati dominanti. Questo è il motivo dell'autoemarginazione delle giovani generazioni: il programma di sviluppo economico, applicato con mentalità tecnocratica, non tiene in sufficiente conto l'ideale di qualità della vita che i giovani considerano traducibile nella realtà quotidiana di una civiltà sviluppata.
Il problema è quello di accertare quali forme di vita distruttive della civiltà mediterranea siano contenute nel sistema economico di benessere materiale che viene dal Nord. Da un lato sarebbe assurdo rifiutare il progresso tecnologico, dall'altro è doloroso vedere come si distruggano i valori umani e civili delle nostre antichissime forme di vita. Era necessario distruggere la civiltà mediterranea per sostituirla con una neurotizzante metropoli industriale, sacrificare la qualità della vita a favore della fabbricazione in serie, soffocare il dialogo fra uomini civili sotto lo stridio ossessivo dei mass media?
La soluzione del dilemma tecnologia-civiltà esige la ricerca di una terza via. Il problema non è quello della tecnologia in se, ma quello di contrastare l'uso volgare che, sotto l'impulso delle tendenze dominanti provenienti dal Nord, se ne sta facendo. E' urgente sottomettere la tecnologia alla civiltà e ciò sarà possibile soltanto con un cambiamento dei valori. Si tratta di un problema di lungo periodo, di un problema di educazione. E' necessario chiedersi se non esiste un sistema di valori e una organizzazione economica che diano qualità e senso all'uso della tecnologia. Si tratta di sfruttarla con misura, orientandola verso fini di tipo naturale, ambientale, umanista e qualitativo. Dal Mediterraneo deve partire un grande sforzo che permetta a tutta l'Europa di muoversi in questa direzione. La missione assegnata è: "Il Mediterraneo deve vivere".

lunedì 8 dicembre 2008

Fermiamo l'eolico selvaggio nella Regione Puglia

Le energie rinnovabili derivanti da impianti eolici (wind farm) adibiti alla produzione di energia elettrica, rivestono carattere complementare e non potendo al momento superare il 3.3% della produzione di elettricità non incideranno oltre l'1.1% di risparmio dei combustibili fossili utilizzati complessivamente in Italia, ed in prospettiva non più del 2%.
Le centrali eoliche per le gigantesche strutture che comportano e per la necessità di essere sistemate sulle cime dei monti , sui crinali più esposti e sulle coste, sono irrimediabilmente distruttive, sfigurano i paesaggi più preziosi e più conservati delle Puglie, fanno strage di uccelli, divorano incentivi economici a danno del solare, e non alleviano la “questione energetica” locale e nazionale.
Le energie rinnovabili vanno incentivate e realizzate, ma secondo la vocazione territoriale di ciascun paese: scartando l'eolico che in Puglia e nel resto d’Italia vede vento quasi dimezzato rispetto al nord Europa e privilegiando biomasse e fotovoltaico in vista dell'idrogeno.
E’ inconcepibile disseminare la Puglia di centinaia, se non migliaia, di torri per un risparmio complessivo di combustibili fossili risibile se paragonato ai danni inflitti al territorio, facendo naufragare le attività agrituristiche e turistiche faticosamente intraprese nelle aree ove potrebbero insediarsi nuovi parchi eolici.
Nel rammentare l’art. 9 della Costituzione italiana “La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”, è necessario che il Governo e le Istituzioni, a tutti i livelli di decisione e di responsabilità, respingano ogni richiesta di costruzione di parco eolico. La “questione energetica” necessita di monitoraggio, di valutazioni concrete, di dibattiti e di informazione. E’ urgente iniziare a porre mano a quello che deve diventare una continua e puntuale opera di monitoraggio e revisione di quello “strumento territoriale” che regola e regolamenta, a breve, medio e lungo termine, la produzione e la distribuzione di energia in Puglia : IL PIANO ENERGETICO REGIONALE.
Bisogna evitare ogni scempio ambientale e paesaggistico, come ennesimo tragico epilogo quale frutto di lobby seminatrici di torri che imprigionano il vento e che raccolgono solo interessanti ricavi economici. E' improrogabile invitare chiunque possa farlo a fermare questo scempio.
Le Istituzioni competenti (Ministero dell’Ambiente, Regione Puglia, Province di Puglia, Comuni interessati, Comunità Montane, Enti di gestione Parchi, Sovrintendenza ai Beni A.A.A.S.) respingano ogni istanza di costruzione di nuovi parchi eolici nel territorio pugliese, arrestino ed annullino l’iter già in corso, per la concessione di nuovi parchi eolici, redigano di un PIANO ENERGETICO REGIONALE che tenga conto del solare termoelettrico, del solare fotovoltaico e del riammodernamento, con tecnologie che riducono l’impatto sul territorio e sulla popolazione, delle vecchie centrali.