Sabino Pignataro

giovedì 18 dicembre 2008

Unione per il Mediterraneo


Il Mediterraneo solare, carico di memorie, ricco di olivi e di palme, di paesi che appaiono come grappoli di case abbarbicati alle colline, di ombre che scendono dai marmi antichi, di muri colorati, di feste religiose, di santuari cristiani e di kasbhe islamiche, di palazzi, ville e castelli, di facce di contadini segnate dalla fatica e abbronzate dal sole…
Il Mediterraneo è anche il mare più famoso del mondo. Non c'è altro luogo in cui siano nate e tramontate civiltà così grandi. Differenze e contrasti che, per altro, non disgregano l'omogeneità che lega le regioni lungo le sue rive, ma sembrano quasi averla rinsaldata. Per millenni, attorno alle sue sponde, è stato tutto un rompersi e un riallacciarsi di legami. E' possibile per l'Italia immaginare il proprio futuro senza tener conto della straordinaria circostanza per cui essa si trova - geograficamente, storicamente e, soprattutto, culturalmente - al centro di questo mare e di questo mondo? E' possibile chiudere gli occhi di fronte a una vocazione che è, da sempre, iscritta nel codice genetico di questo territorio e delle popolazioni che lo abitano? E' possibile che una visione convenzionale e banalizzata della vita alimentata da gruppi di potere economico proiettati lì dove li spinge il flusso delle loro ricchezze induca, quasi, a vergognarsi di essere mediterranei? Una tendenza di pensiero ancora fortemente presente ha, per molto tempo, cercato di affermare l'idea che l'Italia debba scegliere fra l'Europa e il Mediterraneo. Quasi che non fosse parte, integrante e indissolubile, tanto dell'una quanto dell'altro. Dobbiamo rimanere aggrappati alle Alpi, è la perorazione che esemplifica questo punto di vista, per non scivolare verso le Piramidi e, cioè, nella "palude mediterranea". Oggi sono, soprattutto, le regioni meridionali - quelle che per otto secoli fecero parte del Regno nel sole fondato nel Sud italiano, al centro del Mediterraneo, da uomini del Nord quali furono i Normanni - a contrastare questa tendenza e a rialzare la bandiera mediterranea in nome non solo dell'Italia, ma dell'intera Europa.
Il Mediterraneo ha ancora molto da insegnare e un grande ruolo da svolgere. Esso costituisce uno spazio fisico determinato che incuba un ideale umano corrispondente. Uomo e ambiente definiscono questo mare e le regioni che lo circondano come uno spazio non paragonabile a nessun altro: cultura irripetibile, fioritura di temperamento e habitat come il mondo, altrove, non ha mai conosciuto e per la cui formazione sono state necessarie guerre, spoliazioni, migrazioni, lavori imponenti, biblioteche, studi, invenzioni e una energia vitale caratteristica che emana, probabilmente, dal suolo e che non si manifesta da nessuna altra parte.
Il celebre architetto Antonio Gaudi rende quest'idea in maniera semplice e chiara, quando dice che la virtù sta nel punto medio. Mediterraneo vuol dire in mezzo alle terre. Lungo le sue rive la luce media è a 45 gradi ed è la luce che meglio definisce i corpi e mostra le forme. Non è un caso, dunque, se proprio qui sono fiorite le grandi culture artistiche: al loro formarsi non è stato certamente estraneo questo particolare equilibrio di luce. Né molta, né poca. Perché, sia l'una che l'altra accecano e i ciechi non vedono.
Nel Mediterraneo si impone la visione concreta delle cose, nella quale si mostra l'arte autentica. La nostra forza plastica è costituita da un particolare equilibrio fra la logica e il sentimento. Le terre del Nord puntano tutto sulla razionalità, aborriscono il sentimento e, con l'illusione della chiarezza, producono fantasmi. Mentre quelle dell'estremo Sud, per eccesso di luce, rifiutano la razionalità e fabbricano mostri. Gli abitanti dei paesi che gravitano sul Mediterraneo sentono la bellezza con più intensità di quelli dei paesi nordici e questi stessi lo riconoscono. La gente del Nord apprezza più la ricchezza che si consegue con uno sforzo del pensiero. I loro grandi musei sono il loro vanto, li curano con grande attenzione e gli costano molto danaro, ma i nordici non badano a spese perché sono ricchi. Per le opere che contengono pagano somme favolose, che mai sarebbero state date ai loro autori che, in generale, condussero una vita misera. Questi autori erano del Mediterraneo: italiani, greci, egiziani, spagnoli… I nordici si sentono orgogliosi del possesso di tali ricchezze (si pensi ai fregi del Partenone, sottratti ad Atene ed esposti nel Museo Britannico di Londra) perché non hanno una visione plastica della vita, che, invece, caratterizza l'uomo mediterraneo e che vale più di qualsiasi ricchezza. E' giunto il momento di guardarsi intorno e di cercare di comprendere, nell'era della globalizzazione dei mercati e degli stili di vita che tende a omologare anche le identità culturali dei popoli, in che misura esiste una consapevolezza sociale della peculiarità che caratterizza il modo di pensare e di vivere che, nel corso dei millenni, si è andato consolidando attorno al mare più antico del mondo.
Al di là della retorica che porta ad accettare ciò che viene da oltre le Alpi come se fosse la verità rivelata, comincia a crescere il numero di coloro che notano e denunciano le contraddizioni di una Europa che si muove a due diverse velocità di sviluppo: l'Europa del Nord e l'Europa mediterranea. Due entità differenti non solo per la struttura economica, ma anche perché portatrici di sensibilità culturali del tutto divergenti fra loro. Più che di una Europa a due velocità, quindi, bisognerebbe parlare di due Europe che cercano, da secoli e con grande travaglio, una unità culturale che, tuttavia, non sono ancora riuscite a raggiungere. Da tempi immemorabili la storia d'Europa si presenta come il confronto fra due mentalità che dovrebbero essere complementari. Nonostante questo, nel XX secolo, si sono contati sulle dita ricercatori e intellettuali che si sono dedicati a una riflessione su questa realtà che finisce con il suggerire un ragionamento sui fini e sui mezzi della società industriale avanzata, sul rapporto fra tecnologia e civiltà, una riflessione che per l'Italia ha una rilevanza decisamente strategica.
E' necessario colmare questo vuoto e riconsiderare la storia europea per scoprire le cause e le origini di quello che si può definire l'uso volgare della tecnologia. Secondo quanto hanno osservato con particolare lucidità lo spagnolo Luis Racionero (El Mediterraneo y los barbaros del Norte) e l'italiano Franco Cassano (Pensiero meridiano), il mondo nordico si è distinto nella sua capacità di saper produrre, mentre quello mediterraneo, proponendo come virtù quelli che gli sono rinfacciati come difetti, potrebbe distinguersi come guida al consumo verso una migliore qualità della vita. Queste due dimensioni, quantità e qualità, efficienza e bellezza, definiscono le due Europe alla ricerca di quell'unità culturale la cui mancanza costituisce il tallone di Achille del vecchio continente: il sangue giovane del Nord, che ha propiziato la rivoluzione industriale, deve affinarsi attraverso gli ideali umanisti del Mediterraneo.
Ci troviamo di fronte ad una prospettiva caratterizzata dalla dicotomia fra tecnologia e civiltà: l'opulenza materiale e la qualità della vita che differenziano l'esistenza delle due Europe attraverso mentalità e modelli di vita notevolmente diversi. Il mondo mediterraneo, facendo leva, con greci e romani, su una società di schiavi, costituì una società di ozio creativo. Il mondo nordico, su una industrializzazione di massa, ha costruito la società del consumo. Ora gli sviluppi della tecnologia e i processi sempre più avanzati di automatizzazione della produzione ci fanno intravedere la possibilità di dar vita a una nuova civiltà dell'ozio, dove il ruolo degli schiavi sia assunto dalle macchine. Quest'idea stenta a prendere corpo perché i nordici, impregnati di puritanesimo, continuano ad idolatrare il lavoro e l'efficienza produttiva. E' giunto il momento di promuovere una razionale adesione di tutta l'Europa agli ideali epicurei ed umanistici del Mediterraneo. Se i nordici hanno saputo produrre, i mediterranei sanno consumare. L'arte di vivere non si improvvisa. Non basta essere ricchi per praticarla. E' necessario possedere uno spirito raffinato ed essere eredi di una lunga storia, qualità che i nuovi nordici non posseggono. Il livello di vita in Occidente ha raggiunto punti di benessere che permettono di porsi questioni di qualità.
La teoria secondo cui il sangue giovane dei barbari del Nord risvegliò i degenerati abitanti della regione mediterranea dal loro interminabile ozio di Capua era coerente con l'epoca dell'industrialismo entusiasta. Ora sono proprio i giovani nordici che vanno verso il Sud mediterraneo e ricercano la nozione della misura. Sono stati loro i primi a denunciare - attraverso i movimenti verdi, ecologisti e alternativi - la fallacia dello sviluppo illimitato, l'aggressività della razionalità esasperata ed il concetto disumano del lavoro fine a se stesso. Gli apatici e scettici uomini del Mediterraneo avevano le loro buone ragioni per affrontare la vita con tranquillità. Non si trattava di degenerazione o di mollezza, ma di moderazione e di misura che nascevano dal sapere e dalla consapevolezza.
Coerente con la mentalità utilitaristica degli anglosassoni, l'Occidente propone soluzioni tecniche ai problemi culturali senza rendersi conto che le soluzioni non sono materiali, ma mentali, come sostengono gli umanisti del Mediterraneo. Al contrario, i popoli mediterranei hanno imitato il modello tecnologico del Nord, di cui subiscono il fascino. Ma, le mentalità continuano a rimanere distinte, perché cultura e civiltà sono espressioni di processi storici di lunga durata. Sino al 2000 avanti Cristo, affermava J.H. Breasted, si ebbero importanti movimenti di popoli nomadi da steppe e deserti fino alle aree civilizzate del Mediterraneo. Pur sotto il dominio di ariani, dori e romani, esisteva e continuava a esistere, però, il sostrato degli antichi popoli mediterranei (cretesi, etruschi, sardi, sikani, liguri, tartesi) che seppe civilizzare gli indoeuropei e portare alla formazione dello spirito che, poi, caratterizzò la civiltà dei greci e dei romani. Quando i greci e i romani furono civilizzati dal sostrato degli antichi popoli del Mediterraneo, si produsse una nuova invasione di barbari del Nord. Questa volta germanici, che distrussero la civiltà greco-latina e quella mentalità ancestrale del Mediterraneo, sorta dalla stessa terra e rigeneratasi così come si rinnovano i suoi alberi e le sue piante.
Uno sfortunato evolversi della storia ha fatto sì che i popoli del Nord impostassero un modello produttivo basato sulla tecnologia prima di avere il tempo di civilizzarsi attraverso il contatto con le regioni urbanizzate del Sud mediterraneo. Queste affermazioni, forse, possono sembrare taglienti. Bisogna riconoscere, sia pure con tutte le sfumature necessarie, i grandi apporti culturali del Nord: gli esploratori inglesi, gli eruditi tedeschi, i missionari svizzeri, il socialismo svedese, Goethe e Russel, la raffinatezza di Oscar Wilde. Nonostante ciò, un fatto è certo: che capitalismo e meccanizzazione sono prodotti del Nord e che quella parte dell'Europa, in termini generali, a causa della brevità della sua storia, mantiene segni allarmanti e oggettivamente riscontrabili di una mentalità barbara, suscettibile di manifestarsi durante la guerra con orrori terrificanti e di proiettarsi sinistramente anche sul sistema economico.
E' anche bene considerare che i termini contrapposti di barbaro e mediterraneo si riferiscono a modi di comportamento più che a luoghi geografici. Tuttavia, sussistono tre fatti importanti. Primo: che i barbari calarono dal Nord sul Mediterraneo. Secondo: che nei paesi del Nord non esistettero città fino al XIII secolo. Terzo: che il Mediterraneo è una zona climatica abitabile, mentre il Nord è inospitale. Tutto questo - al pari del vino e della birra, del lardo e dell'olio d'oliva - distingue due diverse Europe. Quindi vennero gli americani liberatori, repubblicani, ricchi e generosi. Una intera generazione guardò con entusiasmo all'american way of live. Si imitò l'efficientismo tecnocratico e industrialista e, negli anni '60, l'Europa mediterranea entrò nella società del consumo. Il risultato è sotto la vista di tutti. Il progresso materiale è innegabile e, in buona misura, apprezzabile. Ma, l'arretramento dal punto di vista umano e della qualità della vita appare altrettanto rilevante. La prospettiva più probabile, però, è, oggi, quella dell'inquietudine nella ricchezza. Per i paesi mediterranei si può parlare di sopravvivenza nei limiti degli interessi dei mercati dominanti. Questo è il motivo dell'autoemarginazione delle giovani generazioni: il programma di sviluppo economico, applicato con mentalità tecnocratica, non tiene in sufficiente conto l'ideale di qualità della vita che i giovani considerano traducibile nella realtà quotidiana di una civiltà sviluppata.
Il problema è quello di accertare quali forme di vita distruttive della civiltà mediterranea siano contenute nel sistema economico di benessere materiale che viene dal Nord. Da un lato sarebbe assurdo rifiutare il progresso tecnologico, dall'altro è doloroso vedere come si distruggano i valori umani e civili delle nostre antichissime forme di vita. Era necessario distruggere la civiltà mediterranea per sostituirla con una neurotizzante metropoli industriale, sacrificare la qualità della vita a favore della fabbricazione in serie, soffocare il dialogo fra uomini civili sotto lo stridio ossessivo dei mass media?
La soluzione del dilemma tecnologia-civiltà esige la ricerca di una terza via. Il problema non è quello della tecnologia in se, ma quello di contrastare l'uso volgare che, sotto l'impulso delle tendenze dominanti provenienti dal Nord, se ne sta facendo. E' urgente sottomettere la tecnologia alla civiltà e ciò sarà possibile soltanto con un cambiamento dei valori. Si tratta di un problema di lungo periodo, di un problema di educazione. E' necessario chiedersi se non esiste un sistema di valori e una organizzazione economica che diano qualità e senso all'uso della tecnologia. Si tratta di sfruttarla con misura, orientandola verso fini di tipo naturale, ambientale, umanista e qualitativo. Dal Mediterraneo deve partire un grande sforzo che permetta a tutta l'Europa di muoversi in questa direzione. La missione assegnata è: "Il Mediterraneo deve vivere".

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