Sabino Pignataro

sabato 27 dicembre 2008

Il nostro mare è un fossato che separa o un ponte che unisce.

Che cos'e il Mediterraneo, mare unico al mondo che unisce (o divide) tre continenti: un'opportunità o un ostacolo? Le risposte a queste domande sono già cruciali, poichè trascuriamo il fatto che gran parte del nostro destino continua a giocarsi sulle sponde di questo vecchio mare. «Non è ancora possibile considerare questo mare come un "insieme" - dice Predrag Matvejevic (autore del famoso Breviario mediterraneo) - trascurando le fratture che lo dividono. Le sue rive purtroppo al momento hanno in comune poco più delle loro insoddisfazioni». Giudizio amaro che lo scrittore poi compensa con previsioni meno pessimistiche. Infatti c'e chi sul Mediterraneo continua a puntare. Ha detto l'ambasciatore francese a Roma Jean-Marcde la Sablihe: «II Mediterraneo e un'immensa fortuna per l'Europa, per il nostro futuro comune. Ci sono legami storici, geografici, culturali, soprattutto un mondo da costruire insieme». Qualche peso bisogna dare a queste speranze dopo i tanti fallimenti che sono alle nostre spalle? Quando il presidente francese Sarkozy volle riunire i capi di Stato mediterranei, alla vigilia dell'ultimo 14 luglio, molti, a cominciare dai paesi arabi rifiutarono perfino di partecipare. Non sarà utopia continuare a parlare di una "Unione mediterranea" che finora non c'e stato modo di far diventare realtà? Una novità oggettiva c'e. Carlo De Benedetti e Federico Rampini vi dedicano un capitolo nel loro recente libro “Centomila punture di spillo”. E' la forza dell'economia. Le condizioni che la globalizzazione sta imponendo in quest' area non si erano mai avute nei precedenti venti o trenta secoli di storia. Detta in poche parole l'area emergente del mondo che attrae più investimenti dall'estero è proprio la costa sud del Mediterraneo, dal Marocco alla Turchia: «I nostri vicini di casa meridionali hanno visto sestuplicarsi in sette anni gli investimenti dall'estero: 60 miliardi di dollari nel 2006, poco meno della Cina (70 miliardi) , più del doppio dell' America Latina». Jean Monnet, uno dei padri dell'Europa, disse: «Se si potesse ricominciare (la costruzione europea) lo farei dalla cultura». Concetto molto nobile ma quasi certamente insufficiente. La cultura comune, quindi è indubbiamente quella europea, ha grande peso ma è molto più facile che gli individui stiano, o non stiano, insieme per ragioni d'interesse. Non è un caso che le grandi rivoluzioni, americana del 1776, francese del 1789, sovietica del 1917, abbiano sempre trovato il loro detonatore nella situazione economica. Del resto I'autorevole parere di Maurice Aymard va nella stessa direzione. In un suo studio sul commercio del grano a Venezia nella seconda metà del XVI secolo, lo studioso dimostra come i cereali importati via mare nella Serenissima abbiano compensato la scarsa produzione locale e come: «la miseria di quei lontani produttori di grano sia servita a mitigare la penuria delle città e delle campagne occidentali mal rifornite». Anche allora fu il Mediterraneo a permettere di riequilibrare bisogni economici e potenzialità commerciali tanto squilibrate. Nessuno si nasconde quante perplessità l'argomento possa suscitare. «E' chiaro, afferma Abdessalam Cheddildi, che la congiuntura mondiale impone ai paesi rivieraschi di lavorare insieme. D'altra parte I'Europa non si decide a dare tutto l'aiuto che potrebbe ai paesi della costa sud, prigioniera, troppo spesso, di cliche, immagini deformate o negative sull'Islam, sul terrorismo». Speculare a questa "pigrizia" europea c'e quella delle popolazioni della costa sud troppo lente a fornirsi di strumenti più adeguati per conoscere loro stessi e i loro dirimpettai, che saremmo noi. Ecco quale potrebbe essere la più utile finalità di discussioni come quelle in corso a Roma: combattere questa pigrizia, fornire ai più volenterosi, o ai più svegli, dell'una e dell'altra parte, strumenti più aggiornati di conoscenza. Tanto più, commenta Bruno Aubert, consigliere culturale dell'Ambasciata francese, che «II momento è buono. Per ragioni economiche e anche perche oggi non c'e lingua o entità rivierasca che possa dirsi "egemone". Questo potrebbe aprire la strada a un linguaggio comune fondato sulla pluralità, su un'appartenenza condivisa». Il ministro Florence Mangin dice: «Considerare la "circolazione degli uomini" solo per i disperati che sbarcano a Lampedusa è miope. Al dila del trauma non c'e solo l' obbligo della tolleranza e dell'accoglienza. C'e un'opportunità che dobbiamo saper cogliere». Noi italiani soprattutto, che abbiamo già il 7% della popolazione con origine straniera.

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